Fabbrica di instabilità. Un concetto chiave per comprenderel’impatto dei rischi geopolitici
La prima parte (elementi di inquadramento) della mappatura dei principali incubatori di rischio sistemico
In questo lungo viaggio nel mondo dei rischi oggi facciamo tappa in una ”località” un po’ particolare. Non parlerò, infatti, di un rischio specifico, né prenderò spunto da un fatto di cronaca, ma proverò, confidando nella vostra pazienza, ad articolare e approfondire uno dei principi cardine del mio (e del nostro, inteso di BM&C Società Benefit) modello di monitoraggio e interpretazione di quei rischi che presentano un elevato potenziale sistemico. In realtà nulla di nuovo; in tutti gli articoli che ho pubblicato in queste pagine ho ovviamente sempre utilizzato, ma non potevo fare altrimenti, l’intera strumentazione concettuale e metodologica che ho messo a punto e sedimentato negli anni, senza soffermarmi però su nessuno di essi.
Oggi sento l’esigenza di iniziare a colmare questa lacuna introducendo un primo concetto chiave che nella sua semplicità presenta comunque una forte valenza euristica. Questo passaggio riveste un carattere di necessità per riuscire ad approfondire alcuni filoni di indagine che stiamo via via affrontando. Tra questi uno degli ultimi che ho trattato in queste pagine riferisce a quanto sta avendo in America Latina. Ho utilizzato nei primi due articoli recenti dedicati a quest’area il concetto di fabbrica di instabilità, anzi oggi scrivo con maggiore precisione la fabbrica di instabilità dell’America Latina tra espansione e implosione. Ed è proprio la definizione di quest’ultimo concetto, fabbrica di instabilità, il centro del mio intervento di oggi.
Procediamo comunque con calma, cercando di utilizzare alcuni esempi concreti per rendere più interessante e soprattutto più produttiva questa lettura.
Partiamo da un esempio. Il bacino del Mediterraneo
Gli scenari di rischio all’interno di ogni scacchiere geopolitico sono molteplici. Volendo procedere con la presentazione di casi concreti prendo spunto da un contesto a noi molto prossimo: il bacino del Mediterraneo. Questo spazio geografico è, infatti, il contenitore all’interno del quale si collocano diversi scenari di rischio. Non tutti presentano lo stesso potenziale distruttivo, così come non tutti agiscono in modo diretto sulle economie e sui mercati finanziari, ma ciò nonostante rappresentano nel loro insieme fattori di instabilità che “complicano” la lettura del reale e soprattutto la sua proiezione nel futuro.
Allo stesso tempo ognuno di essi può manifestare effetti diretti ovvero indiretti sul contesto economico e finanziario. Una guerra all’interno di un paese o di un gruppo di paesi ha un effetto diretto che si può ad esempio concretizzare nella chiusura di un mercato alle esportazioni nazionali o in una perdita degli investimenti diretti. Altre situazioni possono determinare un effetto indiretto. Una recrudescenza del terrorismo all’interno dei paesi europei è destinato ad accrescere la paura e la percezione di insicurezza delle opinioni pubbliche e modificare quindi la propensione di spesa e i comportamenti di consumo di vasti strati della popolazione1.
Ma vediamo quali sono alcuni degli scenari di rischio che incidono nell’area geografica di cui stiamo parlando.
(i) In primis il confronto nel Mediterraneo orientale. Come è noto quest’area si è arricchita negli ultimi anni di un rinnovato interesse geopolitico. A quello storico, legato alla collocazione strategica a ridosso del Medio Oriente e al passaggio delle rotte verso il Mar Nero si è inserita la scoperta di immensi giacimenti di gas naturale nel triangolo delle zone economiche esclusive di Israele, Egitto e Cipro. Dallo sfruttamento delle risorse presenti in questo triangolo è esclusa in questo momento la Turchia che ha già in passato manifestato la sua aggressività verso lo status quo sfruttando la sua presenza militare nella parte nord di Cipro occupata ai tempi del regime dei colonnelli greci.
(ii) Il secondo scenario riguarda proprio la definizione delle Zone Economiche Esclusive (ZEE) del bacino del Mediterraneo. In parte questa questione è una delle componenti dello scenario che ho appena finito di elencare, ma più in generale deve intendersi come una criticità che attraversa tutte le zone del Mediterraneo. La particolare configurazione geografica di questo mare inevitabilmente crea delle sovrapposizioni nell’applicazione di quella che è la configurazione di una zona economica esclusiva secondo la Legge del mare2. Secondo la definizione del diritto internazionale le ZEE, cioè i tratti di mare il cui sfruttamento è competenza esclusiva di un paese rivierasco, si estendono fino a 200 miglia nautiche dalle coste (370,4 km). In una situazione di normalità delle relazioni tra stati le sovrapposizioni territoriali trovano composizione definendo una demarcazione più o meno mediana tra due paesi. Ciò è avvenuto a partire dal 2020 tra Italia e Croazia e tra Italia e Grecia3. In tutti gli altri casi, soprattutto quando sono in gioco risorse naturali importanti, la definizione delle delimitazioni ha una evoluzione assai più problematica. Ho parlato più volte a questo proposito le mire algerine nei confronti dell’Italia e della Spagna.
(iii) Un altro scenario di rischio nasce dalle tensioni che si generano lungo le rotte dell’immigrazione. Non è nemmeno il caso di soffermarsi qui sull’impatto politico, sociale e culturale che questo comporta ad esempio per il nostro paese. Mi limito pertanto a segnalare l’esasperazione dei flussi migratori da parte di un paese al fine di creare processi di destabilizzazione all’interno di altri paesi. Su questo ha scritto più di altri Kelly Greenhill, della Tufts University di Boston, che ha messo a punto alcuni concetti chiave come quello di “weaponization of migration flows” o di “coercive engineered migration” come strumenti di vera e propria guerra ibrida4. In passato la Turchia aveva forzato i flussi migratori ai confini della Grecia per ottenere concessioni e aiuti da parte dell’Unione Europea.
(iv) Continuo la elencazione degli scenari facendo riferimento allo storico confronto, che forse dal nostro osservatorio italiano non riusciamo a cogliere con piena consapevolezza, e rivalità tra Turchia e Grecia. Un confronto che riguarda dispute territoriali nelle isole elleniche a ridosso della Turchia, e che ha un elemento di continuità nell’occupazione di una parte di Cipro sede di una repubblica riconosciuta internazionalmente solo da Ankara. Una rivalità che è fatta anche di un intreccio e di sovrapposizioni storiche; si pensi solo che il padre della Turchia moderna Mustafa Kemal Atatürk è nato nella Salonicco ottomana.
(v) Da ultimo, almeno in questa panoramica, deve essere considerata la minaccia islamista nei paesi del Nord Africa che si era concretizzata a ridosso del successo della primavera araba e che ha visto come protagonisti diversi movimenti legati al movimento dei Fratelli Musulmani, attivismo che in alcuni casi aveva portato al governo alcuni di questi partiti come Hennhadi in Tunisia e soprattutto con la temporanea affermazione di Mohamed Morsi in Egitto. Presenza comunque molto variegata che comprende anche alcune propaggini politiche dell’ISIS ad esempio in Libia.
Da un insieme di scenari di rischio a una fabbrica di instabilità
Vediamo ora come un insieme di scenari di rischio possa condensarsi un punto critico in grado di generare una fase di transizione e dar luogo quindi a una fabbrica di instabilità.
Volendo anticipare un tentativo di categorizzare una fabbrica di instabilità potremmo definire la stessa come un insieme di scenari di rischio che presenta:
un sistema di legami o addirittura di interrelazioni;
forti elementi di instabilità al suo interno tali da accrescere il livello di incertezza e di entropia;
l’esistenza di un potenziale elemento scatenante in grado di cambiare gli equilibri provocando effetti sistemici (deformazione dello spazio dei rischi).
Prima condizione necessaria: relazioni deboli, relazioni forti
Ognuno di questi scenari, non fosse altro che per il solo fatto di insistere all’interno dello stesso scacchiere geografico, presenta un insieme di interrelazioni che possono manifestarsi nel tempo in modo più o meno forte. La presenza di questi legami, costituisce il potenziale e latente elemento di trasmissione di un plausibile effetto a catena di amplificazione dei rischi.
Normalmente però, a meno che non si verifichino specifiche condizioni che agiscono come fattori deflagranti, ogni scenario segue una propria linea evolutiva relativamente autonoma. Tornando al Mediterraneo i fatti e i cambiamenti che si sono succeduti durante le primavere arabe hanno rivoluzionato lo scenario del NordAfrica. Questi cambiamenti hanno avuto un enorme effetto su tutti i paesi nell’area, ed hanno prodotto anche un impatto più ampio, ad esempio una maggiore tensione del fenomeno immigratorio, senza però trascinare l’intera area in una crisi generalizzata.
Questa ipotesi di lavoro offre una chiave interpretativa dell’intensità del rischio (sistemico) e allo stesso tempo consente di semplificare, grazie alla teorica separazione lo studio delle dinamiche di ogni scenario che può così essere seguito in una sua evoluzione meno complessa.
Seconda condizione necessaria: instabilità e cambiamento di stato
Prendiamo in considerazione la condizione necessaria della instabilità. Sul piano dei fenomeni politici e sociali la comprensione di questa condizione è abbastanza intuitiva. Sono le società più instabili quelle all’interno delle quale si generano maggiori contraddizioni e potenzialmente più rischi. Instabilità di natura politica-governativa, di convivenza religiosa, di divergenza reddituale, ecc. L’instabilità va intesa come il brodo primordiale dei potenziali rischi.
Questa condizione è la prima che ho messo a fuoco nel mio personale viaggio attraverso i rischi. Una riflessione che mi ha portato a rappresentare la situazione dei rischi attraverso quelli che io chiamo stati operativi e che mi sono sempre immaginato attraverso la metafora degli stati della materia. Trovo infatti questa suggestione estremamente potente per rappresentare il divenire dei rischi. Gli stati della materia rappresentano diverse rappresentazione delle sue particelle, che solo sul piano visivo possiamo rappresentare come diversamente ordinate o più o meno anarchiche. Ma questa rappresentazione ci permette anche di focalizzare l’attenzione sulle fasi più interessanti, cioè gli intorni attorno ai quali si manifestano le transizioni di fase, cioè il salto tra uno stato e l’altro, dal rischio potenziale alla situazione di crisi, dalla crisi di un’azienda al suo default. Nella transizione di fase si genera poi un altro fenomeno interessante che è quello che gli scienziati chiamano coesistenza di fase, in cui convivono più stati. A secondo che si sottragga o si aggiunga temperatura la transizione di stato può completarsi o regredire allo stato originario dimostrando un’assenza di automatismo5.
Infine ma ne parleremo approfonditamente un’altra volta, le transizioni di stato procedono passando attraverso dei punti critici, la temperatura di 0 gradi per il passaggio da stato liquido a solido dell’acqua con un determinato livello di pressione o i 100 gradi per la transizione allo stato gassoso. Questa rappresentazione visiva ci suggerisce di considerare i punti chiave (key point) dei nostri scenari geopolitici o semplicemente extraeconomici. Mi ricordo che la prima volta che ho utilizzato questa metodologia eravamo nel pieno della epidemia di Ebola nel corno d’Africa con le preoccupazioni dei primi casi in Europa. Come poi si è drammaticamente manifestato con la pandemia di COVID, la diffusione della malattia ha a che fare con i suoi modelli di diffusione spaziale. Ebbene l’epidemia di Ebola era scoppiata in paesi, relativamente isolati rispetto al sistema di comunicazioni internazionali, con nodi di collegamento aerei molto ridotti. Il punto chiave che avevo tenuto sotto osservazione era la possibile diffusione della malattia in Nigeria, che per fortuna si è limitata in pochi casi di infettati. La diffusione della epidemia in Nigeria avrebbe, infatti, rappresentato un punto chiave di un cambio di scala del potenziale di rischio sanitario globale; a differenza dei paesi epicentro della malattia la Nigeria è al centro di un network di collegamenti estremamente esteso e quindi per sua definizione meno controllabile.
L’elemento scatenante: una deformazione dello spazio dei rischi
Proviamo ora a considerare l’esistenza all’interno di questo scacchiere di uno o più motori che possano manifestarsi in modo trasversale con un effetto moltiplicatore della instabilità.
Immaginiamo visivamente una rete tesa (che rappresenta uno spazio geografico) sulla quale sono appoggiate alcune palle da biliardo (gli scenari di rischio), più o meno distanti l’una dalle altre. Se una delle palle aumenta di peso fino ad iniziare a deformare la rete le altre palle più vicine iniziano a scivolare nella depressione che si è creata. E più palline sono attratte in questa concavità, maggiore è il loro peso complessivo e quindi la forza deformante e in ultima battuta la forza attrattiva della instabilità.
Volendo anche in questo caso fornire una rappresentazione visiva più rigorosa, il fenomeno che ho descritto assomiglia a quello della formazione dei buchi neri. Una rappresentazione che ci consente anche di evidenziare come in questa aggregazione si generi anche un ammasso indistinto dei vari scenari che arrivano ad esercitare una forza di attrazione indistinta.
I motori della fabbrica di instabilità
Ma cosa può generare questo aumento di peso? Qui ancora una volta il ricorso all’esempio della transizione di stato ci aiuta. Per ottenere la transizione sappiamo che è necessario introdurre dall’esterno nel liquido o al contrario sottrarre calore al sistema. Prendiamo il nostro Mediterraneo in questo momento la forza che con maggiore plausibilità è in grado di aumentare il livello del “calore” (tensione) è il concretizzarsi della politica di espansione neo ottomana di Erdogan. Conosciamo la capacità, e io direi anche la spregiudicatezza, del Presidente turco di muoversi sul filo del rasoio delle contraddizioni aperte. Una attitudine che fino ad oggi non ha mai, per fortuna, avuto un effetto di detonazione. Abbiamo assistito all’invio di navi militari nello spazio di mare della Repubblica di Cipro per interrompere le attività di estrazione legittimamente assegnate, al sostegno alle forze islamiste che appartengono alla costellazione dei Fratelli Musulmani in Nord Africa, con un intervento diretto in Libia, all’utilizzo degli alleati di Hamas, anch’essi facenti parte dell’alleanza dei Fratelli Musulmani per ostacolare i paesi rivali Arabia Saudita, Bahrein e EAU negli sforzi di normalizzazione dell’area, e cosi via.
L’impatto sistemico delle fabbriche di instabilità
Se torniamo alla immagine della rete sulla quale sono collocatr le palle di bigliardo possiamo comprendere un altro fenomeno: con il crescere del coinvolgimento di nuovi scenari la distorsione del piano può diventare tale da tale da produrre un effetto sempre più esteso in grado di attirare dentro la depressione anche palle collocate in punti più distanti dal centro della depressione.
Se ci ricordiamo della crisi dei subprime, essa è partita coinvolgendo gli istituti creditizi più coinvolti nel business per assorbire presto nella crisi le banche di affari, quindi ha prodotto un significativo credit crunch ed è diventata sia crisi di liquidità che di fiducia, con una sua estensione in Europa, e così via, per diventare una delle più profonde crisi finanziarie sistemiche che abbiamo conosciuto.
Tornando al nostro esempio possiamo considerare come l’insieme degli scenari di rischio che abbiamo considerato abbia delle ramificazioni che portano a loro volta alla formazione di altre aggregazioni di rischio. Ad esempio l’Algeria, coinvolta nelle dispute sulla definizione delle zone economiche esclusive è un partner strategico dell’Europa come fornitore di gas naturale, una fonte di importazione cresciuta di importanza dopo la guerra con l’Ucraina. Un’eventuale esplosione del contenzioso latente potrebbe rimettere in gioco l’intero assetto dell’approvvigionamento energetico, almeno del Sud Europa. Per altri versi le mire turche si rivolgono anche a oriente, direi anzi soprattutto a oriente in un orizzonte già qualificato nell’ambito del Consiglio Turco. Una espansione che attraversando tutta l’Asia Centrale arriva fino alla potenza Cinese coinvolta attraverso gli iuguri turcofoni. Già abbiamo visto l’attivismo di Ankara in questa regione come alleato fondamentale dell’Azerbaijan nella controversia con l’Armenia e infine la decisione di Ankara di aprire una fabbrica di droni (Baykar) vicino a Kyev6.
Detto in altri termini ogni fabbrica di instabilità porta dentro sé un forte potenziale di coinvolgimento sistemico.
Le altre fabbriche di instabilità: l’America Latina
Vediamo per concludere una seconda fabbrica di instabilità in pieno divenire, che è poi quella che sto descrivendo in queste settimane: penso che una possibile definizione sia fabbrica di instabilità dell’America Latina tra espansione e implosione.
Di un primo scenario di rischio che compone questa fabbrica ho parlato recentemente descrivendo l’emersione di una nuova categoria geopolitica, i narcostati, che se vi ricordate sono quelle entità statali che presentano un livello di infiltrazione criminale e in alcuni casi addirittura di sovrapposizione e subordinazione degli apparati statali agli interessi delle organizzazioni criminali. L’affermazione di questa entità geopolitica opera come una metastasi nei corpi democratici, travolgendo gli equilibri sociali ed economici, dando fiato alle forze guerrigliere come la FARC colombiana e rafforzando la ramificazione internazionale dei gruppi criminali7. Allo stesso modo questa configurazione statuale agisce come motore di sottosviluppo, proponendo un esempio esasperato al massimo livello di quell’ostacolo alla crescita economica e sociale che conosciamo dall’occupazione territoriale dei gruppi criminali come la mafia o la ‘ndrangheta.
Il secondo scenario è collegato alla grande disponibilità di materie prime e di minerali rari - abbiamo parlato recentemente del Litio - che paradossalmente anziché rappresentare una fonte di sviluppo per questo paesi si trasforma in un ulteriore elemento di instabilità. La corsa all’accaparramento di queste risorse ha assunto in molti casi, grazie all’alleanza di regimi amici che governano alcuni paesi sudamericani, la forma del rafforzamento della presenza nell’area dei paesi alternativi al blocco occidentale, Cina, Russia e Iran8. Presenza che tenderà sempre più a condensarsi come minaccia diretta agli interessi del mondo delle società aperte. Il fatto che oggi gli Stati Uniti siano orfani di una rivisitazione della dottrina Monroe non significa che sia immaginabile un disimpegno nell’area e questo nel medio periodo porterà a un “conflitto” tanto più inevitabile quanto più aumenterà la presa del blocco rivale sul continente.
Il terzo scenario di crisi si richiama alla particolare forma della evoluzione della lotta politica consolidato in alcuni paesi latino americani legati al cosiddetto Foro di San Paolo. Un caso studio è purtroppo ancora una volta il Venezuela. Uno dei capisaldi ideologici del regime chavista è stata la sistematica distruzione dello strato intermedio della società e l’affermazione di una polarizzazione tra un elite di potere, nelle cui mani si sono concentrate tutte le chiavi economiche della nazione, e una massa interamente dipendente dal sistema dei sussidi. Una strategia che ha rafforzato il regime ma che attraverso il depauperamento del tessuto democratico ha inaridito in modo ormai quasi insostenibile il sistema economico9.
Vi è poi un fattore particolare da considerare nell’esaminare questo particolare contesto che riguarda l’espansione del mondo hispano-hablante soprattutto verso gli Stati Uniti che si realizza attraverso inarrestabili flussi immigratori. Sarebbe un errore limitarsi a considerare questo fenomeno esclusivamente come espressione di una spinta di migrazione sostenuta da bisogni economici. C’è un secondo fattore altrettanto importante che alimenta questi flussi e riguarda l’espansione della migrazione di quadri intermedi e professionalizzati alimentata proprio da quella aggressione culturale di molti regimi verso questa componente sociale. Una emigrazione molto più propensa a integrarsi nelle dinamiche politiche interne. Il mix di una migrazione che ha i caratteri quantitativi di una minoranza crescente ma che al contempo è qualitativamente connotata sta cambiando in modo significativo il quadro della politica statunitense. Se prendiamo a riferimento il Congressional Hispanic Caucus, l’aggregazione bipartisan espressione della comunità ispanica il Congresso vede la presenza di 11 rappresentanti repubblicani e 34 democratici espressione di queste comunità10. All’interno del Senato poi si sono affermate figure che hanno ormai un rilievo internazionale come il rappresentante del Texas, Ted Cruz o quello della Florida Marco Rubio. Il peso crescente all’interno della società politica statunitense di gruppi di pressione fortemente ostili ad alcuni regimi centro e sud americani è potenzialmente portata a rafforzare le spinte di radicalizzazione delle posizioni statunitense nel confronto dell’area.
Per quanto riguarda infine il fattore di deflagrazione io lo vedo proprio in quella espansione della presenza politica economica e militari dei paesi che si contrappongono all’Occidente in quello che è stato il cortile di casa degli Stati Uniti. Una espansione che nel medio periodo mette direttamente e pericolosamente in contatto i due blocchi, quello delle società aperte e quello delle società chiuse.
Di altre fabbriche di instabilità arriverò a parlare a breve, chiudendo qui per rispetto alla vostra pazienza questa mappatura.
Ho avuto modo di affrontare per esteso questo tema nel mio libro dedicato alla plausibilità, in particolare nel secondo capitolo. Raffaele Bruni, Il pugile e il piccolo uomo, Licosia, 2019
La Legge del Mare è stata definita in base alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (United Nations Convention on the Law of the Sea, "UNCLOS").
Si veda ad esempio il suo libro Weapons of Mass Migration: Forced Displacement, Coercion, and Foreign Policy, Cornell University Press, 2011, tradotto anche in italiano per i tipi di LEG Edizioni
Per chi vuole approfondire esiste una immensa letteratura, ma immaginando che come me altri lettori di queste pagine siano poco più che profani di queste materie, suggerisco uno scritto di natura educativa e divulgativa presente nelle pagine dell’Istituto dei sistemi complessi del CNR - https://www.isc.cnr.it/public-outreach/divulgazione/transizioni-di-fase/
Pesha Magid, Turkey’s drone market Baykar begins to build plant in Ukraine, Reuters, 7 febbraio 2024 - https://www.reuters.com/business/aerospace-defense/turkeys-drone-maker-baykar-begins-build-plant-ukraine-2024-02-06/?mkt_tok=NjU5LVdaWC0wNzUAAAGRH3aHFxJ3jJ484JZjxziQxgHf71YdVicDQT-DABd476wmvoF1NKH2HZ5neW1o_Hf7Z8Xv7hCvV1OhNN2Nw9Bd0Ip4uszqh8sb8zsyICu1Q-K9
Il caso più emblematico è stata la decisione del regime chavista di licenziare almeno 18.000 dipendenti dell’azienda petrolifica di stato Petróleos de Venezuela, S.A. (PDVSA), circa il 40% della forza lavoro, soprattutto quadri e tecnici specializzati, come risposta a un lungo sciopero ispirato dalle forze di opposizione contro le politiche economiche del governo che è durato del dicembre del 2002 al febbraio dell’anno successivo. Il licenziamento di massa che ha interessato anche la Istevep, la società di ricerca di PDVSA, ha di fatto azzerato la spina dorsale dei tecnici della compagnia è una delle cause che ha portato al crollo della produzione e alla crisi irrisolta della industria petrolifera venezuelana,
Suzanne Gamboa, A class of newly elected Latinos in Congress sets a record, NBC News, 18 novembre 2022 - https://www.nbcnews.com/news/latino/latinos-record-number-elected-congress-midterms-rcna57943