Thailandia: un’altra crisi (con scivolamento verso la Cina)
(Post #147) A fine marzo avevamo parlato delle tensioni nel sud est asiatico. Ora alcuni scenari stanno “esplodendo”. La Cina segna un punto a favore?
In qualche occasione queste pagine si occupano di vicende apparentemente lontane dal nostro quotidiano e di situazioni che non sono trattate dai canali ufficiali attraverso cui transitano le informazioni che arrivano normalmente alla nostra attenzione. Altre volte sviluppano argomenti non immediatamente esplosivi - e per fortuna direi non tutti gli scenari di rischio degenerano in situazioni tali da avere un connotato catastrofico. Eppure alcune tra queste vicende meritano di essere considerate perché il più delle volte segnano lo spostamento dell’equilibrio geopolitico. Le fabbriche di instabilità lavorano sempre, spesso “nell’ombra” e prima o poi presentano i loro frutti.
Il frullatore dell’Indo-Pacidico
Ciò nonostante ci sono degli eventi che assumono rilevanza proprio nella chiave di lettura di quelle che da tempo chiamo le fabbriche di instabilità, cioè quei complessi geopolitici dinamici che hanno la capacità di trasformarsi in potenti motori di crisi e di rischio. Le fabbriche di instabilità sono, come sapete, la categoria chiave del sistema di monitoraggio e di interpretazione dei rischi costruito da BM&C Società Benefit.
E la fabbrica di instabilità più attiva si posiziona nello scacchiere dell’Indo-Pacifico, cioè in quello che è diventato il nuovo baricentro del mondo.
Oggi ci occuperemo proprio di uno degli scenari di rischio che alimentano questa fabbrica. Già qualche mese fa mi ero soffermato, in queste pagine, su due paesi: le Filippine e la Thailandia. L’accelerazione innescata da Trump nel confronto con la Cina e più in generale l’applicazione dei dazi commerciali a questi paesi tradizionalmente esportatori non poteva che operare come un gigantesco frullatore che frammenta e ridisegna gli equilibri dell’area1. Se volete potete quindi andare a rileggere quell’articolo per trovare le ragioni di quello di cui sto parlando oggi.
I paesi del sud del Pacifico si trovano al centro di questo sconto. La Cina, indipendentemente dalle alleanze è ormai una presenza commerciale, politica e militare che non può essere ignorata. Gli Stati Uniti d’altra parte costituiscono la sola garanzia per non essere attratti e inglobati nella sfera cinese. I dazi imposti a molti paesi asiatici non aiutano poi a sviluppare le politiche internazionali dei singoli paesi.
Thailandia e Cambogia
Puntualmente così uno dei due scenari presentati nell’articolo che ho appena richiamato ha subito in poche settimane una profonda degenerazione. Come spesso accade in situazioni che vivono una forte tensione il trigger che innesca la crisi può assumere contorni apparentemente marginali.
In questo caso lo sfondo sono le storiche dispute di confine tra Thailandia e Cambogia, uno dei più fedeli alleati di Pechino2. Le dispute territoriali hanno origini storicamente lontane aggravate dall’assetto territoriale determinato dal protettorato francese. Le mappe tracciate dai francesi, (1907), contenevano ambiguità, lasciando indefinite circa 155 km di confine, inclusi siti come i templi di Preah Vihear e Ta Muen (mappa fonte: Radio Free Asia)
Nel 1959, la Cambogia portò la disputa sul tempio di Preah Vihear alla Corte Internazionale di Giustizia (ICJ), che nel 1962 assegnò l’area su cui sorge il tempio alla Cambogia, suscitando proteste in Thailandia, che non riconobbe pienamente la sentenza. Tra il 2008 e il 2011, scontri armati nell’area causarono decine di morti e migliaia di sfollati. Nel 2013, l’ICJ chiarì che l’area intorno al tempio apparteneva alla Cambogia, ma lasciò irrisolte altre dispute, come quelle su Ta Muen e il Triangolo di Smeraldo (Chong Bok). Questi conflitti sono alimentati dai nazionalismi interni, con entrambi i governi che sfruttano le dispute per consolidare il consenso. Da parte sua, dopo l’approvazione dei dazi statunitensi del 49% sulle esportazioni cambogiane, la leadership di Phnom Penh ha deciso di puntare sul nazionalismo per distogliere l’attenzione dalle difficoltà interne.
Il 28 maggio di quest’anno si è avuto uno scontro a fuoco nella zona di confine di Chong Box vicino al triplice confine tra Thailandia, Cambogia e Laos con la morte di un militare cambogiano3. Secondo Bangkok, le truppe cambogiane stavano scavando trincee in territorio conteso.
La crisi politica in Thailandia
Queste sono le premesse della crisi attuale che è stata innescata da un fatto di per se molto banale: una telefonata del 15 giugno tra la premier thailandese Paetongtan Shinawatra e l’ex primo ministro cambogiano e attuale presidente del Senato Hun Sen. Nel corso della telefonata la premier Shinawatra aveva utilizzato toni concilianti con la sua controparte arrivando a criticare l’operato dei militari che costituiscono da sempre il potere di riferimento del paese.
Con un forte effetto destabilizzante la parte cambogiana ha reso noto la registrazione della telefonata scatenando un putiferio in casa thailandese. La maggioranza ha subito perso un pezzo importante, il partito Bhumjaithai, mettendo in seria discussione la sopravvivenza del governo.
Poche giorni dopo, il 1 luglio, la Corte costituzionale ha sospeso dall’incarico la premier accogliendo la richiesta avanzata da 36 senatori che la accusavano di violazione dei principi etici e di disonestà. Per inquadrare la portata della decisione bisogna ricordare che la Thailandia è attraversata da un conflitto cronico tra le élite conservatrici-militari-monarchiche e i governi civili di ispirazione populista o riformista, spesso associati alla famiglia Shinawatra. L’attuale premier è figlia di Thaksin Shinawatra, che è stato a sua volta primo ministro rappresentando la continuità con una linea politica contestata dalle forze armate e dai conservatori. Anche la zia Yingluck era stata deposta dal colpo di stato del 2014. Dal 1980 ad oggi ci sono stati nel paese cinque colpi di stato da parte dei militari. Tre sono stati quelli riusciti, nel 1991 contro Chatichai Choonhavan, nel 2006 contro Thaksin Shinawatra e nel 2014 contro Yingluck Shinawatra, e due falliti (1981 e 1985). Molti fonti non escludono peraltro che questa possa essere l’esito dell’evoluzione in corso
Il caso in sé riguarderebbe quindi un episodio di politica interna di un paese tradizionalmente istabile. Ciò che fa di questa situazione un caso rilevante da considerare nel panorama della fabbriche di instabilità è il contesto geopolitico in cui è inserito il paese che riguarda proprio l’equilibrio nell’area tra Usa e Cina.
Dagli Stati Uniti alla Cina
La Thailandia è sempre stata considerata un alleato storico degli Stati Uniti ma parallelamente alla crescita della potenze cinese il posizionamento a livello internazionale di Bangkok è progressivamente cambiato. Il vero punto di svolta nelle alleanze internazionali risale al colpo di Stato del 2014, quando gli USA hanno reagito al sollevamento dei militari sospendendo gli aiuti e assumendo una posizione ufficiale di condanna. Questa rottura ha spinto la Thailandia a intensificare le aperture con la Cina in campo militare ed economico. Non è ancora comunque un radicale cambio di campo, Bangkok ha mantenuto, infatti, un fragile equilibrio, conservando legami strategici e militari con Washington, pur guardando con sempre maggiore favore verso Pechino. Anche nella vicenda dell’espulsione degli uiguri che avevo raccontato nell’articolo di proprie settimane fa si era confermato lo stesso copione. Da una parte un favore a Pechino e dall’altra una presa di posizione dura da parte degli USA destinata a creare un nuovo punto di attrito tra i due paesi. La Thailandia continua a mantenere un rapporto privilegiato con Washington con lo status di Major Non-NATO Ally e ospita regolarmente esercitazioni congiunte con le forze armate statunitensi come Cobra Gold4. Gli USA mantengono anche una base strategica a U‑Tapao5. Allo stesso tempo però Bangkok si rivolge ormai esclusivamente alla Cina per le proprie forniture militari e la marina ha partecipato a manovre militari cinesi nel marzo di quest’anno “Blue Strike-2025”. Il fatto politico più rilevante è il comunicato congiunto dell’8 febbraio 2025, firmato durante la visita ufficiale della premier Paetongtarn Shinawatra a Pechino. Con questo documento la Thailandia ha affermato il sostegno alla politica di una sola Cina, riconoscendo il governo della Repubblica Popolare Cinese come unico governo legale che rappresenta l’intera Cina e considera Taiwan parte inalienabile della Cina, insieme al supporto al principio “un paese, due sistemi”.
Verso una dipendenza economica nei confronti di Pechino
Le integrazioni più importanti tra i due paesi riguardano però il lato economico. La Thailandia è integrata nei progetti infrastrutturali della Belt and Road Initiative. Alcuni progetti strategici come quello dell’alta velocità ferroviaria che passando per il Laos dovrebbe unire i due paesi sono stati peraltro oggetto di forte dibattito dal momento che molti considerano l’opera, che peraltro inciderà pesantemente sui conti interni, come in grado di determinare una eccessiva dipendenza dalla Cina. A che il progetto del Land bridge, il corridoio strategico che dovrebbe costituire un alternativa al commercio marittimo attraverso lo Stretto di Malacca dipendono dai finanziamenti cinesi.
La Thailandia ha peraltro bisogno di trovare alleati internazionali anche per risolvere una altra grave crisi interna: l’insurrezione delle province meridionali di Pattani, Yala, Narathiwat e parte di Songkhla. In queste regioni la popolazione malese-musulmana ha mantenuto identità e cultura distinte ed è sede di un conflitto esploso nel 2004, con gruppi separatisti come il BRN che hanno lanciato attacchi per contrastare l’assimilazione statale. Negli anni sono state adottate strategie di contro-insurrezione e avviati dialoghi intermittenti, ma senza soluzione definitiva.
Il gioco d’azzardo e le scam cities una partita miliardaria
Da ultimo non può non essere evocato uno scenario che è strettamente connesso alla crescita della tensione tra Thailandia e Cambogia e che riguarda la partita del gioco d’azzardo, Una questione solo parzialmente economica ma che ha invece forti impatti su altri ambiti intrecciati ad altre fabbriche di instabilità come quella legata alla cybersicurezza e alla criminalità internazionale.
Il confine tra Thailandia e Cambogia, lungo oltre 800 km, è da decenni zona grigia di tensioni territoriali, contrabbando e flussi migratori. Dal 2000 in poi, la città di Poipet (Cambogia) è diventata un hub informale di casinò rivolti a cittadini thailandesi, in un contesto in cui il gioco è illegale in Thailandia ma formalmente autorizzato in Cambogia. Le attività legate ai casinò hanno progressivamente coinvolto anche cybertruffe, traffico di persone e frodi digitali, spesso operate da reti criminali transnazionali con connivenze locali. Stiamo parlando di un giro d’affari nell’intero sud est asiatico stimato tra i 3,5 e i 7 miliardi di dollari all’anno, con una dinamica in forte crescita.
Nel 2025, l’avanzamento della proposta di legge thailandese per legalizzare i casinò nei grandi “entertainment complex” ha innescato ritorsioni diplomatiche e misure restrittive unilaterali, portando a un’escalation senza precedenti tra i due Paesi. il governo ha deciso di procedere alla legalizzazione di casinò all’interno dei cosiddetti “entertainment complexes” — strutture ibride con hotel, centri congressi, negozi e parchi culturali. Il gabinetto ha approvato una bozza di legge il 13 gennaio 2025, seguita da un aggiornamento con rigide restrizioni all’accesso per i cittadini thailandesi. Il disegno di legge ha suscitato forti critiche. Gruppi religiosi e attivisti sostengono che i casinò promuovano il vizio, aumentino il rischio di dipendenza dal gioco e possano favorire il riciclaggio di denaro. L’opposizione politica, inclusa la People’s Party, teme che la legalizzazione possa scoraggiare i turisti cinesi se il governo cinese imponesse restrizioni ai viaggi. Inoltre, il Consiglio di Stato ha espresso preoccupazioni, suggerendo che il disegno di legge si concentri troppo sul gioco d’azzardo rispetto alle attrazioni turistiche più ampie. Anche il partito Bhumjaithai che ha lasciato recentemente la maggioranza di governo si è espresso chiedendo un ritiro definitivo della proposta di legge.
Ultima ora: sembra che il nuovo governo, frutto del rimpasto dopo la sospensione della prima ministro e che ha giurato il 3 luglio abbia intenzione di ritirare la legge contestate.
A passo di corsa: il Pacifico
Il focus principale della politica estera di Trump, nonché il filo rosso che lega questa amministrazione con la precedente, rimane il confronto globale con la Cina. Un confronto che nella valutazione della leadership America ha una tale valenza strategica
Per un inquadramento delle dispute di confine tra i due paesi si rimanda al paper di Nicole Jenne, The Thai–Cambodian Border Dispute: An Agency-centred Perspective on the Management of Interstate Conflict, in Contemporary Southeast Asia, 2017 - Link
Thai and Cambodian soldiers clash briefly in a disputed border area, killing 1, AP, 29 maggio 2025 - https://apnews.com/article/thailand-cambodia-soldiers-border-clash-a4b8547559ff1fe493bdac60aad008eb
Cobra Gold sono esercitazioni militari congiunte promosse dal 1982 dagli Stati Uniti e diversi paesi del sud est del Pacifico. L’ultima esercitazione ha visto la partecipazione di militari di ventuno paesi.
La base ha svolto un ruolo operativo importante durante la guerra in Vietnam e nel Laos. Più recentemente è stata utilizzata nella guerra contro l’Iraq.