Parliamo ancora di sicurezza alimentare
Il “protein gap”, cioè lo sbilanciamento tra domanda e offerta di proteine animali, è uno dei rischi più grandi per la sicurezza alimentare
Il tema della sicurezza alimentare, intesa come garanzia della continuità di livelli di produzione e di approvvigionamento adeguati, si è riproposto all’attenzione generale a partire dall’invasione dell’Ucraina, una delle aree cruciali per la produzione dei cereali e di altri prodotti agricoli di base come l’olio di girasoli1. Il conflitto ha reso evidente come l’intero comparto cerealicolo sia particolarmente vulnerabile esistendo una polarizzazione tra un nucleo ristretto di paesi esportatori e altri totalmente dipendenti dai flussi di importazione. E’ cosi riemersa una problematica che nella percezione generale si considerava confinata solo ad alcune aree particolarmente depresse del nostro pianeta.
Non solo la guerra in Ucraina alla base della insicurezza alimentare
A ben vedere la guerra è solo uno dei fattori di criticità dei mercati alimentari; altri si caratterizzano ancor più criticamente in quanto parte di tendenze di lungo periodo. Tra questi dobbiamo in primo luogo ricordare i potenziali effetti dei cambiamenti climatici. Proprio in questi giorni Confagricoltura ha lanciato l’allarme sulla siccità che per il secondo anno ha colpito il nostro paese, una carenza idrica che rischia di compromettere le quantità di produzione della prossima estate. Ad esempio lo scorso anno secondo i dati raccolti dall’associazione dei coltivatori, a causa della mancanza d’acqua sono astate abbandonati 23.000 ettari di coltura risiera soltanto nella Lomellina e altri 3.000 nel Novarese.
Altre criticità si sono aggiunte in quest’ultimo anno, legate ad esempio all’aumento dei costi energetici, che ha spinto molti produttori, soprattutto del nord Europa a rinunciare a seminare alcuni prodotti durante l’inverno. Ha fatto molto discutere la recente scarsità di verdure fresche nel Regno Unito che ha costretto molte catene alimentari a razionare le vendita.
Un rischio da conoscere: il “protein gap”
Oggi vorrei affrontare con voi uno dei fattori che si connotano per un carattere più strutturale e che per loro natura si propongono come elementi di lungo periodo cioè quello che in letteratura viene definito come “protein gap”, in pratica il deficit strutturale tra domanda e offerta di proteine su scala globale. Sicuramente non è un tema nuovo tanto è vero che già negli anni ‘70 del secolo scorso la FAO si era occupata ripetutamente di questa criticità promuovendo la costituzione di un gruppo di lavoro congiunto con l’Organizzazione Mondiale della Sanità e le Nazioni Unite2.
Per quello che mi riguarda ho avuto la fortuna di approfondire questo tema di cui avevo una conoscenza superficiale, grazie un convegno a cui ho avuto la fortuna di partecipare a Montefalco in Umbria nella cornice di una splendida cantina vinicola. D’altra parte molti dei temi che accompagnano questo nostro percorso comune nascono da suggerimenti e stimoli che arrivano dalla mia rete di amici e di relazioni, senza i quali la mia capacità di comprendere i rischi sarebbe fortemente depotenziata. In questo caso l’incontro era parte di un giro tra Marche e Umbria per lanciare uno dei nuovi servizi di BM&C a cui credo di più.
Come si definisce il protein gap
Ma proviamo ora a definire il contorno di quello che è il protein gap.
Già oggi secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità vi sono circa 1,5 miliardi di persone che sono costretti a seguire una dieta carente di proteine. Se sono confermati le proiezioni della crescita della popolazione mondiale, nel 2050 dovrebbero vivere sulla terra almeno 10 miliardi di persone. Conseguentemente la produzione di alimenti deve proporzionalmente crescere per far fronte al fabbisogno nutrizionale complessivo. In particolare è destinata ad aumentare la richiesta di proteine, sia animali che vegetali, per l’alimentazione umana e quella degli animali. Si parla di 250 milioni di tonnellate aggiuntive di proteine ogni anno3.
Se ci fermiamo all’Europa il gap nella produzione di proteine animali richiede al nostro settore agricolo di importare 480 milioni di tonnellate di mangimi; la UE è secondo solo alla Cina come consumatore. In particolare ben il 70% di alimenti per animali ricchi di proteine, in particolare semi di soia e farina di soia, deve essere importato nella UE4.
Questo tema ha una ulteriore declinazione che riguarda l’invecchiamento della popolazione. Di questo tema si è occupato tra gli altri, ad esempio, un recente studio su un campione di anziani olandesi che vivono in comunità assistite. L’indipendenza e la vitalità fisica di un anziano si deteriora anche in conseguenza della perdita di massa muscolare che naturalmente si produce con l’avanzamento dell’età. Secondo il gruppo di studiosi olandesi “una dieta sana in combinazione con l'esercizio fisico può limitare il declino muscolare correlato all'età e aiutare a mantenere una funzione muscolare ottimale, e in questo hanno un ruolo chiave le proteine alimentari”. Secondo gli studi più recenti se l’OMS raccomanda un assunzione di proteine giornalieri di “0,8 g per kg di peso corporeo sia per gli uomini che per le donne, gruppi di esperti raccomandano un'assunzione maggiore di 1·0–1·2 g/kg per anziani sani e anche 1·2–1·5 g/kg per anziani malnutriti o a rischio di malnutrizione”5.
Il problema che ci troviamo ad affrontare dipende dal fatto l’incremento della produzione deve fare i conti con la sostenibilità ambientale e con il fatto che la produzione per gli allevamenti e per l’itticoltura è da questo punto di vista in concorrenza con le esigenze della alimentazione umana. Il suolo destinato alla produzione di alimenti animali ha quasi raggiunto il livello di saturazione e vengono così a mancare le possibilità di estendere la superficie coltivata. A ciò si devono aggiungere i problemi ambientali e quelli legati alla produzione di gas che contribuiscono all’effetto serra.
La prospettiva è inevitabilmente quella di un aggravamento nel tempo del gap di proteine. Questa condizione, toccando uno dei temi essenziali dell’alimentazione umana, è destinata a generare a cascata diversi problemi, dall’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari, a problemi di sostenibilità ambientale, fino a problemi di scarsità e di tensioni geopolitiche.
La situazione attuale e i rischi di sostenibilità
Oggi buona parte delle produzione di proteine animali destinata agli allevamenti deriva dalla cosiddetta farina di pesce.
Come si può immaginare l’utilizzo del pescato per fini diversi dalla alimentazione umana è un tema molto contrastato. Da una parte l’industria del settore sostiene che “la maggior parte di queste specie ittiche difficilmente sarebbero acquistate dal consumatore finale: la stessa FAO afferma che non sarebbe possibile commercializzare per il consumo umano diretto il 90% delle specie con cui vengono prodotte le farine di pesce”6.
Questo dato è contraddetto da altri studi scientifici che ribaltano totalmente le proporzioni arrivando, al contrario, a stimare che il 90% del pesce destinato ad altri usi sarebbe utilizzabile per l’alimentazione umana. Di questo parere, ad esempio un gruppo di ricercatori della University of British Columbia di Vancouver7. La conclusione di questo studio è peraltro perentoria “pertanto, l'esaurimento globale degli ecosistemi su cui molti fanno affidamento per le calorie e i micronutrienti essenziali per alimentare l'acquacoltura e le specie animali sembrano essere dannose per la sicurezza alimentare globale dell'umanità”.
E’ interessante a questo proposito citare un reportage prodotto da Corriere della Sera TV. Secondo Moussa Mbengue, presidente dell’Associazione dell’Africa Occidentale per lo sviluppo della pesca artigianale (Wadaf), intervistato nel servizio “Oggi assistiamo a una proliferazione delle industrie di farina di pesce dappertutto in Africa occidentale, e questo crea diversi problemi. In origine le industrie di farina di pesce avevano la funzione di prendere scarti della pesca e valorizzarli. Oggi non ci sono più scarti da valorizzare, perché la risorsa ittica è scarsa. Di conseguenza le industrie di farina non usano più scarti, ma i piccoli pesci pelagici”. Inoltre l’industria della farina di pesce “incentiva la pesca eccessiva perché spinge i pescatori, anche quelli che cercano di seguire le regole, a catturare il novellame (i pesci troppo giovani, ndr) per venderlo alle fabbriche»8. Ma i problemi ambientali non finiscono qui, ad esempio, a Noudhibou in Mauritania, una regione ad alta intensità di fabbriche di farina di pesce “i medici affermano che le fabbriche hanno portato ad un aumento dell'asma, delle allergie e delle infezioni respiratorie, in particolare tra i bambini. E in effetti, i rifiuti tossici gettati nell'oceano hanno trasformato una zona costiera altamente frequentata in a Area fognaria. La produzione di farina di pesce di solito richiede una maggiore quantità di pesce vivo per un sacco di farina di pesce prodotta. I rifiuti ed effluenti della produzione di farina di pesce vengono svuotati direttamente nella baia”9.
Ma esistono soluzioni?
E qui ritorniamo al punto da cui ero partito parlando della start up umbra che ho avuto modo di conoscere alla presentazione di Montefalco, La società si chiama Bugslife e ha brevettato un processo produttivo circolare che consente di produrre in primo luogo farina animale oltre che altri componenti per l’alimentazione animale a partire dalle larve di una particolare mosca, l’hermetia illucens (mosca soldato), che possono tra l’altro essere nutrite con gli scarti vegetali. Non sono un esperto del settore ma vi sono altre esperienze, seppure differenti di utilizzo di insetti per la produzione di farine animali, che dimostrano la vitalità di questa prospettiva10. In questo caso appare molto interessante il sistema messo a punto che si caratterizza per la sua totale circolarità: le larve vengono nutrite con gli scarti agroindustriali, e in uscita oltre ai prodotti per l’alimentazione animale si ottiene fertilizzante naturale.
Per evitare ogni fraintendimento sto qui parlando di produzione di cibo per animali e quindi ciò non riguarda al momento la questione dell’utilizzo di questa categoria di alimenti per il consumo degli esseri umani.
Questa soluzione consente quindi di rispondere ad almeno tre esigenze che abbiamo detto essere alla base del cosiddetto protein gap.
La prima riguarda il ricorso a una produzione più sostenibile. E’ interessante a questo proposito proporre una tabella che si trova sul sito di Bugslife che parla da sé. Essa definisce i fabbisogni per la produzione di un 1 kg di proteine11.
La seconda ha a che fare con la possibilità di produrre una disponibilità aggiuntiva per ridurre il protein gap diminuendo peraltro la concorrenza dell’allevamento e della pesca coltura sull’alimentazione umana grazie a delle fonti alternative.
La terza è quella di contribuire in prospettiva a una possibilità di indipendenza europea attraverso lo sviluppo di filiere di produzione locali.
Una riflessione che sorge naturale
Devo prima che concludere accennare a un ultimo blocco di riflessioni che meriterebbe, in verità, ben altro spazio di approfondimento. Da un po’ di tempo a questa parte stiamo fornendo come BM&C Società Benefit una vetrina ad alcune start up innovative interamente italiane. Alcune presentazioni sono state ad esempio protagoniste ai nostri ultimi eventi sia a Previdendo, che alle giornate ESG a San Marino che al RiskShop a Pavia. Il tratto comune di queste iniziative è appunto quello di essere appunto frutto di ingegno italiano, il più delle volte di “giovani cervelli”. Inoltre esse si caratterizzano non solo per il contenuto innovativo ma l’elevato contributo alla sostenibilità. Infine tutte queste proposte richiedono risorse contenute rispetto a quelle che vengono normalmente mobilitate dai progetti investiti dai fondi di investimento alternativi.
La domanda allora è da dove nascono le difficoltà ad incrociare i finanziamenti degli investitori istituzionali tradizionali. In questo momento i fondi pensione, così come le fondazioni bancarie si rivolgono ai grandi asset manager mondiali specializzati nel private market che si concentrano su progetti differenti per cui questo tipo di iniziative non entrano nemmeno nei radar. Eppure questi sono esperienze che hanno una vera ricaduta soprattutto in termine di competitività futura del paese. Su questo avremmo molto da discutere. Ovviamente a scanso di equivoci sono ben consapevole che esiste un problema anche di strutturazione delle offerte. I soggetti istituzionali, soprattutto quando sono regolati, non possono aderire direttamente a queste proposte. Ma se non vogliamo essere puri spettatori dobbiamo proporre linee di intervento sperimentali diversificate.
In questo senso io credo, e su questo ragiono da tempo, che un ruolo fondamentale spetti agli operatori politici pubblici che già in parte si sono attivati, attraverso gli enti di sviluppo regionali. Ho a questo proposito avuto occasione di conoscere l’esperienza umbra di sostegno alle start up.
Da parte nostra continueremo a proporre a queste realtà sempre nuove vetrine in tutti i nostri eventi qualificando in questo modo il nostro essere società benefit, e più in generale responsabili per qualcosa che è molto più grande di noi.
Energy and protein requirements. Report of a Joint FAO/WHO/ONU Expert Consultation, 1985 - https://apps.who.int/iris/bitstream/handle/10665/39527/WHO_TRS_724_(chp1-chp6).pdf;jsessionid=58CF7AEBB2146253B4D61A63D5DA9249?sequence=1
Stephen Hoh, Tackling the protein gap, world-grain.com, 10 gennaio 2023 - https://www.world-grain.com/articles/17956-tackling-the-protein-gap
Croplife Europe, The EU Protein gap trade policies and GMOs, 12 maggio 2021 - https://croplifeeurope.eu/wp-content/uploads/2021/05/353-eu-protein-gap-wcover-06-08.pdf
Marije H Verwijs, Marian AE de van der Schueren, Marga C Ocké, Jacco Ditewig, Joost O Linschooten4 , Annet JC Roodenburg e Lisette de Groot, The protein gap, increasing protein intake in the diet of community-dwelling older adults: a simulation study, in Public Health Nutrition, Cambridge University Press, volume 25, numero 2, ottobre 2021 - https://www.cambridge.org/core/services/aop-cambridge-core/content/view/39698D5FF845EE6FEF1E9BB562F71160/S1368980021004134a.pdf/the-protein-gapincreasing-protein-intake-in-the-diet-of-community-dwelling-older-adults-a-simulation-study.pdf
Il punto sull’usato delle farine di pesce, Eurofishmarket - https://www.eurofishmarket.it/b2b/10_IL_PUNTO_SULLE_FARINE_DI_PESCE.pdf
Tim Cashion, Frédéric Le Manach, Dirk Zeller e Daniel Pauly, Most fish destined for fishmeal production are food-grade fish, in Fish and Fisheries, Wiley, 2017 - https://www.bloomassociation.org/wp-content/uploads/2017/02/Cashion_et_al-2017-Fish_and_Fisheries-1.pdf
Francesco de Augustinis, Il paradosso della farina di pesce: dalle coste del Senegal alle nostre tavole, Corriere della sera, 23 novembre 2021 https://video.corriere.it/animali/paradosso-farina-pesce-coste-senegal-nostre-tavole/8daca93e-49d8-11ec-9eeb-b1479f268b5b
Atlante dei conflitti ambientali, Produzione di farina di pesce sporca in Nouadhibou, Mauritania, 14 maggio 2018 - https://ejatlas.org/conflict/dirty-fishmeal-production-in-nouadhibou-mauritania/?translate=it
Vittorio Bava, Gli insetti come fonte alternativa di proteine, ENEA - https://www.eai.enea.it/component/jdownloads/?task=download.send&id=399&catid=15&Itemid=101