L’ambito sociale come datore di senso dell’intero impianto della sostenibilità
Relazione a ESG. Incontri di alta formazione e orientamento, San Marino 28-29 settembre 2022
Un anno fa, avevamo titolato l’ultimo Previdendo “Il mondo dopo il COVID”. Purtroppo oggi non possiamo invece ancora parlare di un mondo dopo la guerra, e semmai dovremmo considerare un mondo dentro la guerra.
Eppure il COVID, prima, e la guerra dopo, hanno segnato un punto di discontinuità, in qualche modo un primo è un dopo. Certo stanno determinando questa separazione in modo molto moderno, adeguato ai tempi, e in coerenza a un mondo pieno di incertezza in cui gli scenari di rischio addirittura si accavallano piuttosto che succedersi ordinatamente. Verrebbe da dire che la storia ha sempre proposto un prima e un dopo. Ma lo ha sempre fatto secondo i termini di una cesura netta. Pensiamo allo stesso termine di riforma, con il suo significato, indicato dal prefisso ri di trasformazione dell’aspetto con cui si configura ogni oggetto o una sua rappresentazione. La riforma delle pensioni del 1969 segna, ad esempio, uno spartiacque nella storia della protezione sociale in Italia con l’abbandono del sistema tecnico finanziario della capitalizzazione e il passaggio a quello della ripartizione.
Ma il prima e il dopo hanno oggi un significato meno epocale. Il costante susseguirsi di eventi di rischio sta togliendo significato alla stessa distinzione tra il prima e il dopo, con un dopo che diventa, ancora prima di verificarsi, tempo passato. Per stare all’esempio utilizzato, all’idea di riforma pensionistica, portatrice anche di un carico valoriale e immaginifico, si è sostituito un concetto più ragionieristico di stagione di riforma con una serie di interventi che, se si esclude, l’introduzione nel 1995 del sistema contributivo, si sono limitate a modificare alcuni parziali parametri operativi.
Lo stesso vale per i macro eventi degli ultimi anni: stavamo gestendo l’uscita dalla pandemia, quando abbiamo registrato i primi movimenti dell’inflazione, fino ad arrivare al 24 febbraio di quest’anno all’avvio della guerra di aggressione all’Ucraina. Non è questa la sede per affrontare i temi geopolitici ma mi verrebbe da indicare il rischio di una crescita di tensione/aggressione cinese nei confronti di Taiwan, o ancora alle mire neo ottomane di Erdogan nell’Asia Centrale.
Pandemia e guerra riportano indietro le lancette della storia della sostenibilità
Malgrado questa complessità interpretativa è indubbio che il COVID e la guerra hanno sparigliato le carte della gestione delle tematiche ESG. Gli effetti della pandemia hanno riportato indietro le lancette della storia rispetto al percorso fissato dall’Agenda 2030 delle Nazione Unite, il punto più alto della elaborazione della sostenibilità.
In particolare lo hanno fatto per quanto riguarda le tematiche sociali: la riduzione della disuguaglianza (Sustainable Development Goals - SDG 10), la povertà (SDG 1), il diritto alla salute (SDG 3) e la peggiore di tutte le espressioni della povertà, la fame (SDG 2). Per non parlare poi dell’obiettivo 16, che riguarda la pace.
In particolare la fame è uno spettro che è ritornato prepotentemente entro i radar dell’analisi geopolitica riproponendo un tema che sembrava in qualche modo accantonato, cioè quello della sicurezza alimentare. Sicurezza qui non intesa come qualità del cibo, ma nell’accezione concreta di capacità del sistema agricolo e agro industriale di assicurare la fornitura dei beni per l’alimentazione umana. Qualcuno potrebbe obiettare che il tema della fame, era e permane endemico in vaste regioni del pianeta. Questo è vero, ma è altrettanto indubbio che lo shock prodotto dall’invasione russa sul mercato dei cereali ha colpito soprattutto paesi già provati da lunghe crisi, l’intero Magreb, il Libano, vaste aree dell’Africa, dipendenti in alcuni casi al 100% dalle esportazioni provenienti dall’area del Mar Nero. Pensiamo ad esempio all’Egitto che con i suoi 100 milioni di abitanti non solo è il primo importatore di grano al mondo ma si caratterizza anche per essere il più grande consumatore pro capite dei suoi derivati. L’Egitto importa l’80% del proprio fabbisogno da Ucraina e Russia. In ogni caso secondo un rapporto di Human Rights Watch dall’area del Mar Nero sono esportati beni alimentari che corrispondono al 12% delle calorie che dipendono dal commercio mondiale1. Il mercato dei cereali è, peraltro, molto particolare. Esso è caratterizzato, infatti da relativamente pochi paesi esportatori e da molti altri che soffrono di un deficit strutturale. E se non è direttamente la scarsità degli approvvigionamenti é la contestuale salita dei prezzi a far crescere la povertà. Un recentissimo dato pubblicato dalla Banca Mondiale attesta che il 93,3% dei paesi classificati a basso reddito stanno sopportando un’alta inflazione dei prezzi dei beni alimentari.
Non c’è salvaguardia dell’ambiente senza lotta alla povertà
Parto da questo punto perché oggi discutere di ESG rischia, invece, di risolversi nella trattazione delle tematiche green; il concetto di sviluppo sostenibile che sta alla base di questo insieme di orientamenti è invece molto più articolato.
Senza farla molto lunga basterebbe indicare i lavori che hanno prodotto il concetto di sostenibilità. Penso ad esempio al documento del 1980, “World Conservation Strategy. Living Resource Conservation for Sustainable Development” redatto dall’IUCN, l’Unione internazionale per la conservazione della natura, dove i termini sviluppo e sostenibile sono combinati tra loro, e che si chiude con una affermazione perentoria “Che la conservazione e lo sviluppo sostenibile siano reciprocamente dipendenti può essere illustrato dalla difficile situazione dei poveri delle zone rurali. La dipendenza delle comunità rurali dalle risorse biologiche è diretta e immediata”2.
Lo stesso concetto viene ribadito nel cosiddetto Rapporto Brundtland del 1987, famoso anche per aver proposto la prima definizione condivisa di sviluppo sostenibile. Il rapporto delle Nazioni Unite individua una strettissima corrispondenza tra degrado ambientale e povertà, tra emarginazione sociale ed economica e diseguaglianza nell'accesso alle risorse naturali. L’unica strada percorribile per realizzare l’obiettivo di sostenibilità è così, secondo gli estensori del rapporto, quella di promuovere una maggiore prosperità nel senso più ampio del termine, garantendo migliori condizioni ambientali e di vita alle popolazioni3.
La tesi che voglio rilanciare nasce dalla condivisione della conclusione secondo la quale i fattori di crisi, che con sempre maggiore frequenza si susseguono nel nostro secolo, sono destinati ad aumentare le disparità. Di conseguenza non si possono affrontare le tematiche ESG se non contestualizzandole nel nuovo scenario, che più che mai è attraversato da crisi molto rilevanti. Come sapete la mia interpretazione del mondo si fonda sulla convinzione di essere entrati in una nuova fase storica dominata dall’incertezza, destinata a produrre sempre nuovi rischi, che si presentano con maggiore frequenza e maggiore intensità. Questa considerazione è ormai accettata nel campo delle problematiche ambientali. E stata musica per le mie orecchie un report della scorsa settimana di Barclays che titolava “More frequent. More unpredictable. More severe”4.
In realtà questa nuova condizione permea in modo caratterizzante tutti gli episodi del nostro vivere, con la particolare accentuazione delle dinamiche geopolitiche. Per “materializzare” questa affermazione invito tutti a leggere un lavoro del 2021 che un gruppo di ricercatori ha elaborato per OXFAM, la rete di organizzazioni che lavora in 90 paesi del mondo per affrontare il problema della fame. Il punto di partenza dell’analisi è proprio la pandemia e il titolo del lavoro è già di per se indicativo del suo contenuto, “The Inequality Virus”. Secondo lo studio ”Gli storici dovranno verosimilmente raccontare la pandemia come il primo evento, da quando esiste una memoria dei dati, nella quale le ineguaglianze sono cresciute nello stesso momento contemporaneamente in ogni paese del mondo”.
Un altro recente studio “Precarity and the pandemic COVID-19 and poverty incidence, intensity, and severity in developing countries”, del United Nations University World Institute for Development Economics Research conclude “che potrebbero esserci aumenti della povertà di entità sostanziale: fino a 400 milioni di nuovi poveri che vivono al di sotto della soglia di povertà di $ 1,90, oltre 500 milioni di nuovi poveri che vivono al di sotto della soglia di povertà di $ 3,20 e $ 5,50”5. Insomma la pandemia verosimilmente ha fatto crescere le ineguaglianze in una misura come non si era mai registrata prima e ha quindi allontanato in modo rilevante gli obiettivi della crescita sostenibile, riportando indietro, in alcune aree della terra, le lancette della storia di oltre venti anni.
E’ dentro questo arretramento complessivo la pandemia ha colpito in modo più duro dove maggiormente erano già presenti delle disparità. Pensiamo ad esempio alle differenze uomo donna. Secondo l’ILO “la crisi del COVID-19 ha impatti sproporzionati sulle donne, esacerbando le disuguaglianze di genere esistenti perché a livello globale, le donne sono sovrarappresentate nei settori dell'economia più colpiti dalla pandemia”6. Ma ha anche colpito le tradizionali politiche di contrasto alla povertà, in primo luogo l’educazione. L’Unicef ha redatto un rapporto “Cosa abbiamo imparato?“What have we learnt? Overview of findings from a survey of ministries of education on national responses to COVID-19“ secondo il quale “Nel 2020, più di 180 paesi hanno temporaneamente chiuso le loro scuole, lasciando quasi 1 miliardo e 700 milioni di bambini e ragazzi senza scuola al momento del massimo lockdown. La pandemia ha privato i bambini dei paesi più poveri di quasi quattro mesi di scolarizzazione, rispetto a sei settimane per i bambini nei paesi ad alto reddito”7.
Siamo ancora troppo immersi negli avvenimenti per misurare gli effetti di medio lungo periodo dell’invasione russa in Ucraina. In ogni caso gli effetti del conflitto non sono confinati ai due paesi in guerra, come dimostra ad esempio la crisi dei beni agricoli o, più in generale, l’impatto delle dinamiche inflazionistiche sul potere di acquisto di miliardi di individui e di famiglie. Di tutti questi effetti saremo chiamati a stendere una contabilità nei prossimi anni, anche se appare molto plausibile pensare che queste dinamiche provochino un ulteriore arretramento del percorso verso una maggiore sostenibilità.
Quindi, quando parliamo di politiche più prettamente ESG, dobbiamo riflettere sulla componete “S”, cioè sulla componente sociale.
Rimango stupito nell’osservare come ci si stia concentrando solo sulla componente ambientale, come se essa, da sola, fosse in grado di rappresentare lo sviluppo sostenibile. Ho scelto polemicamente di insistere su questo tasto, non perché non sia in grado di riconoscere l’emergenza ambientale, quanto per evidenziare il pericolo di una deriva solamente green del dibattito sulla sostenibilità. Pericolo sia per la concreta possibilità di raggiungere gli obiettivi dichiarati, sia perché è dietro l’angolo il rischio di una crisi di rigetto. Basta guardare la campagna elettorale che si è appena conclusa in Italia per verificare l’assenza dei temi “sostenibili” nel dibattito e nei programmi elettorali di tutti i partiti.
Dobbiamo, invece, partire dai temi sociali anche perché essi determinano in modo significativo anche i temi ambientali. Perché l’incremento delle disuguaglianze conduce a trasformazioni nei modelli di consumo, nei processi produttivi e nelle scelte di investimento che hanno un impatto negativo per l’ambiente. Soprattutto oggi, dopo la pandemia e con la guerra in corso, non possiamo procedere lungo la strada che è stata tracciata in questi ultimi anni come se non fosse cambiato pressoché tutto.
In un recentissimo lavoro, pubblicato da Spinger nel 2022 che raccoglie diversi studi internazionali e che si intitola “Financial Crises, Poverty and Environmental Sustainability”, si sostiene la tesi che ogni crisi finanziaria determina un peggioramento del livello di sostenibilità ambientale, come ad esempio dimostra il fatto che dopo la crisi finanziaria globale del 2007-2008 si è registrato il più elevato tasso di crescita delle emissioni di CO28.
Allo stesso modo la guerra, con i suoi problemi di approvvigionamento energetico ha ridato fiato ai combustibili fossili, e il carbone, che era stato di fatto escluso dalle fonti energetiche, deve essere recuperato in questo tempo di crisi. Lo stesso gas indicato come soluzione green più praticabile, ha evidenziato la fragilità delle catene di fornitura. E maliziosamente si potrebbe osservare come sia emerso da diversi lavori giornalistici che Gazprom sia stata il finanziatore di molte delle iniziative che hanno promosso in questi anni la soluzione ambientale legata al gas.
Diritti umani e sviluppo sostenibile
Io vorrei, comunque, andare oltre in questo ragionamento per affermare anche l’esistenza di uno strettissimo legame tra democrazia, libertà, rispetto dei diritti civili e umani e salvaguardia dell’ambiente.
In questo senso la Cina, uno dei paesi guida del fronte autocratico e illiberale, offre diversi casi studio. Ad esempio potremmo parlare del riversamento della plastica nei mari e negli oceani. Un gruppo di ricercatori ha pubblicato uno studio relativo al fenomeno dell’apporto delle reti fluviali alla dispersione della plastica negli oceani9. Dei primi 20 fiumi per inquinamento 6 sono cinesi e altri 9 asiatici, 3 africani, due dell’America Latina. La Cina gioca in questo un ruolo impressionante: lo Yangtze immette nei mari 330.000 tonnellate di plastica all’anno, ben distanziato dal secondo, il Gange che apporta 115.000 tonnellate, seguito dallo Xi (Cina) 73.000 e dallo Huangpu (Cina) 40.800.
Il secondo esempio che vorrei qui riportare riguarda la sistematica distruzione ambientale perseguita dalla oligarchia della dittatura castro-chavista venezuelana nei confronti dell’Amazonia ai fini dello sfruttamento minerario, soprattutto dell’oro. Il paese che è considerato il decimo al mondo per biodiversità, è oggetto di una sistematica opera di spoliazione. Siamo davanti a un degrado ambientale senza precedenti provocato dall'attività mineraria non regolamentata e in altre attività illecite nell'arco minerario dell'Orinoco, nella regione amazzonica meridionale del Venezuela, gestita direttamente dagli uomini del regime e dai suoi alleati internazionali (Iran, Russia, Turchia e Cina). Per chi ha voglia di informarsi invito di andare alle diverse fotografie satellitari postate nell’ambito del programma Monitoring of the Amazon Project10.
Lascerei parlare Human Rights Watch che nel 2020 ha descritto come “i residenti dello stato venezuelano di Bolívar abbiano subito orribili abusi per mano di gruppi armati che controllano le miniere d'oro illegali. […] Gli abusi che continuano a verificarsi includono amputazioni, sparatorie e omicidi. L'attività mineraria negli stati meridionali ha portato alla deforestazione e all'inquinamento delle acque. Le persone usano il mercurio nelle miniere artigianali, portando ad un aumento dell'avvelenamento da mercurio. I minatori, alcuni di appena 10 anni, sopportano condizioni di lavoro difficili, incluso il lavoro su turni di 12 ore senza indumenti protettivi. L'attività mineraria ha avuto un impatto sulle comunità indigene, anche forzando lo sfollamento”11.
Diritti umani e qualità della governance
Questo legame tra negazione dei principi liberali e violazione dei principi ESG si riverbera anche sulla più maltrattata delle tematiche, la governance, cioè in qualche modo la trasposizione nel modello organizzativo dell’economia dei principi liberali. Il discorso potrebbe immediatamente essere risolto osservando la struttura della proprietà in Russia attraverso la formazione delle oligarchie economiche durante la transizione dal vecchio sistema. Le morti, perlomeno sospette, di molti altri dirigenti di imprese russe, in questi mesi di guerra non contribuiscono a gettare buona luce sul modello di governance moscovita.
E se l’attivismo degli azionisti nel mondo delle società aperte affonda le radici nella nascita delle imprese mercantili, con l’azione intentata, nel 1609, da Isaac La Maire per contestare la governance della Compagnia Olandese delle Indie Orientali12, in Cina siamo al modello Huawei. Una compagnia che secondo la narrazione cinese, che non trova riscontro in alcun atto pubblico, sarebbe di proprietà dei dipendenti ma che, in realtà, è di fatto interamente controllata dallo stato13.
La rottura del disegno originario
Ho dedicato gran parte di questa mia relazione alla enfatizzazione degli aspetti sociali in primo luogo, per rimarcare qualcosa che dovrebbe essere ovvio. Come abbiamo visto, almeno nella pratica originaria, non esisteva un disegno di salvaguardia ambientale che fosse disgiunto dalle considerazioni sullo sviluppo umano e civile.
Su questo punto specifico mi sentirei di sostenere che si è da qualche anno prodotta una rottura del disegno originario dello sviluppo sostenibile. La rottura che io ravviso ha preso la forma di una accentuazione della componente green che ha soffocato le altri componenti diventando via via quasi esclusiva. E’ sufficiente osservare dove si sia indirizzata la produzione del legislatore europeo in questo senso. A questo ha fatto eco l’industria finanziaria proponendo una abbondanza di green bond a fronte di marginalità dei social bond, che ricordo, sono quelli che inglobano il finanziamento a progetti indirizzati al bene comune, anche attraverso una subordinazione del livello dei rendimenti all’effettivo raggiungimento dell’obiettivo. Ho svolto una ricerca sulle emissioni quotate sulla Borsa Italiana, per scoprire che quelle che si qualificano green sono esattamente 200, mentre quelle che si qualificano come social sono 24, di cui solo una proposta da una istituzione finanziaria privata, le altre 23 sono di emittenti pubblici come la UE.
In Europa questa rottura ha assunto un’altra faccia, altrettanto pericolosa rappresentata da una deriva tecnocratica e normativa che si muove su due versanti, la prima l’ipertecnicalità e la bulimia della produzione legislativa e la seconda una sterilizzazione della portata innovativa dei temi della sostenibilità realizzata attraverso il depotenziamento dei contenuti sociali.
Ora, nessuno è così sciocco o ideologico da mettere in discussione il ruolo rilevante della produzione normativa nella promozione di obiettivi di minor impatto ambientale. Potremmo arrivare a dire che in assenza di questa azione non si sarebbero forse mai realizzati alcune modifiche di prodotto come ad esempio il passaggio ai nuovi carburanti senza piombo o l’abbandono dell’utilizzo dei prodotti di plastica monouso. Allo stesso tempo però la foga definitoria del legislatore comunitario ha l’unico risultato, a mio avviso, di “raffreddare” l’interesse per la materia; così anche molti fondi pensione hanno dovuto rivedere il proprio approccio, sommersi dallo tsunami burocratico introdotto dalla normativa europea.
Questa separazione è funzionale a chi persegue le tematiche in termini esclusivamente ideologici, sostitutivi di altre narrazioni che si sono dovute abbandonare con il tempo. In questo senso la furia iconoclasta di questa impostazione ben si sposa con una normativa che non si assume il compito di coordinare i propri obiettivi in un ambito generale ma si limita a scendere quanto più nel particolare e nel dettaglio perdendo ogni appeal e facendo venir meno ogni interesse.
Mi rendo conto che la definizione di una tassonomia, per usare il termine del legislatore europeo, abbinata alla misurazione degli indicatori interpretativi abbia bisogno di una specifica definizione tecnica ma sfido chiunque a sostenere che la strada tracciata non ci allontani dagli obiettivi di consapevolezza e di condivisione delle strategie green. Non so quanti di voi si sono ad esempio avventurati nella lettura del Regolamento delegato UE 2022/288 dello scorso 6 aprile 2022 con il quale vengono disciplinati minuziosamente e in modo certosino le centinaia di indicatori che devono essere riportati nelle “informazioni relative alla promozione delle caratteristiche ambientali o sociali e degli obiettivi di investimento sostenibile nei documenti precontrattuali, sui siti web e nelle relazioni periodiche”.
La sostenibilità non è un tema tecnico ma ideale
Mi sembra di ripercorrere una strada che ho già attraversato e che non ha fatto certo bene all’obiettivo originario. Frequentavo il liceo negli anni più fecondi della costruzione europea, quelli per intenderci, che hanno portato alla prima elezione diretta del Parlamento comunitario nel 1979. Ho avuto, peraltro, la fortuna di vivere quegli anni a Pavia che era al tempo in qualche modo la capitale del federalismo con la presenza di tanti leader del Movimento nelle cattedre della mia università a partire dall’allievo di Spinelli e suo successore come presidente del MFE, Mario Albertini. Ho avuto quindi la fortuna di vivere da un palcoscenico privilegiato gli anni in cui l’Europa Unità è stata soprattutto l’affermazione di un’ideale. Lo stesso coinvolgimento ha, poi, accompagnato il percorso verso l’Euro.
Ma c’è stato un momento della storia recente dell’Europa Unita quando si è rotto un processo che durava dalla guerra mondiale e che aveva convinto i cittadini europei a rinunciare a parte delle proprie prerogative nazionali. Progressivamente si è arrivati a pensare che fosse più efficiente risolvere i problemi in termini di mera tecnica economica e finanziaria per scoprire, però, dopo anni che le pulsioni sovraniste e euroscettiche non sono mai state così forti.
Io che sono un’idealista non posso che rappresentare questa differenza di accenti attraverso due modi di sentire l’Europa, entrambi necessari ma che qui pongo agli antipodi solamente per esigenze di trattazione. Mi ha sempre accompagnato la contrapposizione dell’idea di Europa di san Colombano14 e Carlo Magno. Il primo che con le sue lettere ai pontefici disegnava un Europa che era prima di tutto il luogo dello spirito di un’identità culturale e religiosa. Il secondo, il creatore dei fondamenti istituzionali dell’Europa.
E’ evidente che non sono qui a negare la rilevanza della costruzione carolingia di un’identità europea, voglio solo dire che non si può pensare di rinunciare al ruolo delle identità di spirito nei percorsi di costruzione di istituzioni che coinvolgono centinaia di milioni di persone. E’ d’altra parte è innegabile come l’Europa che dimentica la sua unità identitaria abbia generato decine e decine di guerre interne. La storia si sta ripetendo pari pari con riguardo ai temi ESG.
D’altra parte se pensiamo che il tema sia prettamente tecnico e giuridico-organizzativo dobbiamo essere coerenti e non possiamo lamentarci che la corte suprema statunitense abbia recentemente invocato un punto debole normativo di carattere formale per chiudere l’Agenzia Federale di Protezione Ambientale.
Tornare alle origini
A questo punto dopo tanto argomentare credo sia doveroso per la responsabilità che rivesto in questa iniziativa indicare possibili percorsi di uscita su cui confrontarsi.
Credo di aver sufficientemente argomentato per indicare come sia indispensabile condividere l’idea che non esistano scorciatoie legali e normative per affermare principi che coinvolgono direttamente le persone. Ancor di più, e questo è l’aspetto essenziale che voglio lasciare alla vostra riflessione, non si può pensare che questi temi possano prescindere dall’azione degli attori sociali.
Io sono del tutto convinto che il confronto all’interno del mondo della produzione possa rinsaldare questa frattura da una parte valorizzando quanto le imprese stanno facendo per implementare processi sostenibili, e dall’altra facendo vivere questi obiettivi nella contrattazione collettiva. Esistono questioni che non possono essere risolte al di fuori delle pratiche concertative, allo stesso modo di come i contratti collettivi di lavoro si costruiscono tra le parti e non nelle aule dei tribunali e la rappresentanza sociale si pratica nella sperimentazione e nel confronto nel posto di lavoro e non negli uffici vertenze. In più voglio dire forte e chiaro che nessuno può pensare che la normazione sia sostitutiva dell’azione sociale.
Allo stesso tempo sono però convinto che questo impianto possa funzionare solo se supportato da un forte supporto ideale. Dove per ideale non intendo certamente il rimando a narrazioni del passato o qualsivoglia mira utopistica quanto il recupero di quella che è stata la genesi e la storia dell’affermazione della centralità dell’uomo. Una centralità, secondo me, che chi mi segue da tempo conosce, affonda le sue radici in quel mondo dell’umanesimo e del rinascimento che costituisce il fuoco ideale grazie al quale sono potute nascere le moderne idee di welfare.
Un’eredità che va recuperata spogliandola dei substrati ideologici che ne hanno dato una deformazione corrotta: che la povertà sia da combattere è una costante storica della nostra cultura identitaria, al punto da contraddistinguere la nostra cultura. E’ questo una verità che spesso viene volutamente fraintesa per motivi squisitamente politico ideologici. La nostra comune formazione giudaico-cristiana ha sempre combattuto la povertà, non è, quindi, vero che l’abbia usata in termini legittimanti. Potrei riproporre, come ho fatto nell’ultimo Previdendo, l’elaborazione della Scuola di Salamanca, ma per arrivare velocemente a conclusione mi limito a riportare le parole dello storico polacco Bronislaw Geremek, forse il più importante studioso che si è occupato della povertà e degli esclusi. “Nella terminologia biblica e nella letteratura paleocristiana la pauperitas è chiaramente assimilata a humilitas; umiltà e debolezza sono caratteristiche distintive della primitiva esaltazione cristiana della povertà. Cruciale per questa dottrina era la convinzione che la povertà, per essere una virtù, deve essere volontaria; questa convinzione doveva svolgere un ruolo importante nella pratica e nell'interpretazione degli ideali dei vangeli per tutto il Medioevo. La povertà di Cristo era volontaria: era una rinuncia al suo potere di Re e Figlio di Dio”15. Siamo quindi di fronte a ben altro dell’idea di una povertà necessaria alla sopravvivenza delle istituzioni politiche e sociali dominanti. Le deviazioni politico-statuali statuali dell’inverecondo patriarca Kirill, non ci appartengono.
Un’idea di contrasto ben diffusa nella cultura alta di quel tempo. Ho trovato un bell’esempio nei versi di Francesco da Barberino, poeta toscano, vissuto a cavallo tra il mille e duecento e mille e trecento che espone in modo ben chiaro come la povertà sia destinata a distruggere la dignità dell’uomo. Parafraso per semplicità di esposizione “La morte può davvero rovinare la vita di un uomo, ma non la fama o la virtù che, felice e reale, rimane viva nel mondo per sempre. Ma colui che scende nella Povertà, per quanto magnanimo e nobile, sarà sempre considerato una cosa vile; e perciò chi sprofonda nel tuo abisso abbandoni ogni speranza di aprire sempre le ali della stima».
Ridare dignità alle persone, attraverso la promozione economica, civile e sociale come obiettivo primario di ogni sostenibilità. Per riannodare i fili di questo mio percorso che vi propongo non posso che ritornare alle parole del mio amato Luigi Luzzatti, il teorico e fondatore delle banche popolari, forse l’autore che torno a leggere con maggiore frequenza e entusiasmo. “Mentre invece si attribuisce una importanza soverchia a certe formule sviluppate con troppa crudezza, si può dimenticare che l’uomo non è una pieghevole materia che si modelli a piacimento e che talora nella pratica della vita si sottrae alle conclusioni dedotte con rigore matematico. L’umanità non si governa sempre con la legge delle cifre”16. Un monito straordinario anche per i nostri legislatori europei e nazionali.
Sarebbe facile obiettare che la centralità dell’uomo si è trasformata in dominio della natura, e questo in distruzione dell’ambiente. Non è ovviamente questo il modello che stiamo qui evocando. In ogni caso molti pensano di essere originali nel declamare questa pesante condanna politica, ma in realtà non stanno elaborando niente di nuovo: la riflessione sulla condizione dell'uomo in rapporto ai beni nello stato di natura ha avuto grande fortuna a partire dal “Decretum” scritto dal monaco Graziano intorno al 1140 secondo cui “all'inizio l'uso di tutto era comune, poi, a seguito dell'iniquitas, venne la rottura di tale unità originaria”17. Un tema tanto importante da scatenare la contrapposizione sanguinosa tra Giovanni XXII e i miei amati monaci francescani di Michele da Cesena. Dobbiamo riconoscere che stiamo solo riproponendo il dibattito sui concetti di uso, proprietà e dominio. Solo che non dobbiamo leggerli con gli occhi di oggi ma di quelli di un mondo in cui l’uomo sicuramente non era predatore delle risorse ambientali.
Insomma è necessario affrontare le tematiche ESG evitando che siano altri, in questo caso la sola costruzione normativa, a farlo al posto nostro. Se ha funzionato molti anni fa “lavare i panni in Arno” per creare la nostra bella lingua, non possiamo oggi pensare che sia sufficiente “lavare i panni nel Rio delle Amazzoni” per creare un mondo più sostenibile.
O per lo meno se così è non mi interessa. E quindi non disturbatemi. I miei anni di vita non sono più infiniti e ho di meglio da fare.
Human Rights Watch, Russia’s Invasion of Ukraine Exacerbate Humger in Middle East, North Africa, 21 marzo 2022 - https://www.hrw.org/news/2022/03/21/russias-invasion-ukraine-exacerbates-hunger-middle-east-north-africa
https://www.cib.barclays/our-insights/extreme-weather.html
Andy Sumner, Eduardo Ortiz-Juarez e Chris Hoy, Precarity and the pandemic. COVID-19 and poverty incidence, intensity, and severity in developing countries, WIDER Working Paper 2020/77, giugno 2020 - https://www.wider.unu.edu/sites/default/files/Publications/Working-paper/PDF/wp2020-77.pdf
Marzia Fontana, Assessing the gendered employment impacts of COVID-19 and supporting a gender-responsive recovery, ILO, marzo 2021 - https://www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/---ed_emp/documents/publication/wcms_778847.pdf
UNICEF, What Have We Learnt? Overview of findings from a survey of ministries of education on national responses to COVID-19, Ottobre 2020 - https://data.unicef.org/wp-content/uploads/2020/10/National-Education-Responses-COVID-19-v2_2020.pdf
Antoniades Andreas e altri - Financial Crises, Poverty and Environmental Sustainability: Challenges in the Context of the SDGs and Covid-19 Recovery - Springer 2022
Lebreton, L. C., Van der Zwet, J., Damsteeg, J. W., Slat, B., Andrady, A., & Reisser, J. (2017). River plastic emissions to the world’s oceans. Nature Communications, 8, 15611
Tamara Taraciuk Broner e Martina Rapido Ragozzino, Monitoring of the Andean Amazon Project, giugno 2022 - Deforestation Hotspots in the Venezuelan Amazon - https://www.maaproject.org/2022/deforestation-venezuela/
Venezuelan Tainted Gold. Illegal Mining, Horrific Abuses, Environmental Impact, Human Rights Watch - https://www.hrw.org/news/2022/04/29/venezuelan-tainted-gold
Lettere e poesie di San Colombano Abate, Edizioni Abbazia di San Benedetto, Sereegno
Geremek Bronislaw - Poverty. An History - Blackwell 1994
Luzzati Luigi - La diffusione del credito e le banche popolari, Venezia 1863
Per il testo originale in latino del Decretum si vada a https://geschichte.digitale-sammlungen.de/decretum-gratiani/online/angebot, mentre una traduzione italiana è presenti all’indirizzo http://www.internetsv.info/DecretumGr.html