Wirecard, l’ultimo degli scandali
(Scandali e disastri finanziari) - Il crack di una stella del Fintech

E di questi giorni la notizia di un nuovo crac finanziario che sta emergendo in Germania. Protagonista sono, da una parte, uno dei gioielli dell’industria digitale tedesca e, dall’altra ,le autorità nei mercati finanziari. Molti avranno letto la notizia dell’insolvenza della società Wirecard, una sorta di Paypal tedesco - 5.800 dipendenti e una presenza diversificata in 26 paesi. Oltre a far parte del circuito Visa e MasterCard la società gestisce in esclusiva i pagamenti per le realtà più grandi delle vendite al dettaglio e dell’e-commerce.
In poco tempo la società, nata nel 1999 e specializzata all’inizio nella gestione dei pagamenti delle piattaforme del gioco d’azzardo, aveva scalato tutte le classifiche affermandosi come uno dei giganti dell’economia tedesca.
La capitalizzazione della società è cresciuta enormemente negli ultimi anni superando nel 2018 quella di Deutsche Bank e arrivando ad essere inclusa nel DAX 30 prendendo il posto di Commerzbank. Per inciso, questa “irresistibile” ascesa mi ricorda quanto avevamo vissuto con la bolla tecnologica, nel corso della quale società come Tiscali avevano raggiunto la capitalizzazione di borsa della FIAT.
Le notizie sulla reale situazione della società circolano da più di un anno. Nell’ottobre del 2018 il Financial Times aveva ricevuto informazioni riservate sul fatto che a Singapore fosse in corso una investigazione da parte delle autorità finanziarie sulla situazione societaria. Il 30 gennaio 2019 esce il primo articolo del quotidiano in cui si prospettano diversi dubbi circa presunte irregolarità contabili in cui sarebbe coinvolta la filiale asiatica della società.
Quelle che erano state bollate dai vertici di Wirecard come illazioni giornalistiche sono state alla fine state confermate drammaticamente dai fatti. Wirecard si è rivelata essere sul piano finanziario una sorta di scatola vuota che si sosteneva grazie al credito e ai finanziamenti ottenuti sfruttando la visibilità del brand. La frode volta a evidenziare una situazione finanziaria solida era quindi parte sostanziale del progetto, necessaria a garantire il continuo afflusso di denaro verso la società.
Eppure il Financial Times aveva aggiunto via via documenti sempre più circostanziati sui comportamenti della società. Il 15 ottobre del 2019 il quotidiano pubblica un articolo durissimo (“Wirecard’s suspect accounting practices revealed”). In primo luogo l’articolo ricorda come “Yet Wirecard’s seemingly irresistible rise has been plagued by intermittent controversy about its accounting and business practices. Earlier this year, white-collar crime investigators raided Wirecard’s offices in Singapore multiple times in connection with allegations that sales and profits were invented at numerous subsidiaries across Asia. Edo Kurniawan, the company’s head of international reporting, was named among six suspects.”. La lettura dell’intero articolo, corredato da numerosi documenti di cui il giornale è venuto in possesso mostra i contorni della truffa.
Il giornalista Dan McCrum che ha seguito tutta la vicenda racconta la vicenda della affiliata di Dubai, Al Alam Solution, da cui dipenderebbero circa metà dei profitti mondiali del gruppo. “Yet when the FT visited Al Alam’s Dubai office this year it became clear this was a threadbare operation. A former employee told the FT it had just six or seven staff“. Secondo la ricostruzione era evidente dai rapporti interni del 2016 e 2017 che molte della operazioni più grandi passate per Al Alam non erano mai avvenute. Tra gli esempi citati c’è quello di una società di pagamenti statunitensi CCBill che avrebbe, secondo le evidenze risultate false, processato mensilmente 24 milioni di dollari di operazioni sulla società di Dubai, ma la cui veridicità è stata totalmente smentita dai vertici della CCBill.
Le accuse vengono ulteriormente perfezionate con un ulteriore reportage pubblicato il 9 dicembre 2019, “Wirecard’s singular approach to counting cash”.
Come spesso accade ci sono voluti mesi affinché il mercato prendesse coscienza delle denunce e della reale situazione e questo ha portato in pochissimi giorni al crollo della situazione.
Le preoccupazioni erano accresciute nell’ultimo periodo a seguito del continuo rinvio della pubblicazione dei conti.
Il 28 aprile 2020 KPMG che era stata incaricata dalla società per condurre un’indagine indipendente dopo le accuse del FT pubblica il suo rapporto in cui dichiara che “KPMG was not sufficiently able to forensically trace the existence of the transaction volumes in the 2016 to 2018 investigation period,” according to the report from KPMG published by Wirecard, which said the information was held by third parties that had not co-operated with the probe.”
Ma l’innesco del crollo data il 16 giugno quando è emerso chiaramente che la liquidità dichiarata dalla società pari a 1,9 miliardi di Euro non esiste. Le due banche filippine presso cui avrebbero dovuto essere depositati queste risorse, Bank of the Philippine Islands-BPI e BDO Unibank informano la società di revisione Ernst & Young che i conti in questione non esistono. Nesto Tan, amministratore delegato di BDO - il più grande istituto di credito del paese - ha dichiarato che Wirecard non è nemmeno cliente della banca e che si tratta di un partner disonesto che ha falsificato le firme.
Lo stesso governatore della Banca Centrale delle Filippine, Benjamin Diokno, ha confermato che i presunti fondi “scomparsi” di Wirecard non sono mai entrati nel sistema finanziario del paese. Il Segretario alla giustizia Menardo Guevarra ha ordinando pertanto (24 giugno) al National Bureau of Investigation di individuare i soggetti coinvolti nella truffa che ha chiamato in causa gli istituti di credito del paese
Giovedì 18 giugno la società di revisione incaricata rende noto che non avrebbe certificato il bilancio dal momento che non esiste alcuna liquidità depositata e che la documentazione contabile dei rapporti bancari sarebbe falsa. La vicenda ricorda molto da vicini i falsi fax sulle posizioni bancarie inesistenti costruiti da Parmalat.
In un comunicato Ernst & Young, revisore della società negli ultimi 10 anni ha dichiarato “Ci sono chiare evidenze di essere di fronte a una sofisticata frode che coinvolge diversi soggetti nel mondo”
Il 25 giugno il Consiglio di Amministrazione della società ha deliberato di aprire la procedura di insolvenza presso il tribunale distrettuale competente di Monaco di fronte alla inevitabile impossibilità della società di far fronte ai debiti. Probabilmente la stessa procedura verrà richiesta per le società controllate.
L’evidenza è emersa proprio erano in corso le trattative con 15 banche, di cui le più esposte sono ABN Amro Bank, Commerzbank e ING Groep, per la ristrutturazione del debito da 1,75 miliardi di Euro. Tra gli altri istituti bancari esposti per posizioni importanti dovrebbero esserci anche Credit Agricole, DZ Bank, Citigroup, Deutsche Bank e Raffaisen Bank.
Le conseguenze di questa situazione, ormai avviata verso il fallimento della società, sono disastrose per i risparmiatori che avevano investito nell’azienda e nei suoi titoli di debito (3,5 miliardi di Euro). Particolarmente sensibile è la posizione del gigante tecnologico giapponese SoftBank che ha investito più di 900 milioni di euro su Wirecard. Il valore dell’azione è passato in pochi giorni dagli oltre 140 euro di aprile a meno di 3 euro, con una velocità quasi senza precedenti nella storia finanziaria. A completare il quadro si aggiunge lo stato di insolvenza sul debito, cioè sulle obbligazioni emesse dalla società. E’ la prima società presente nel DAX 30, l’indice delle principali società quotate a Francoforte, a fallire.
Conseguenze si stanno verificando anche per quanti detengono carte di pagamento con diverse label ma emesse da Wirecard, che è uno dei leader mondiali di questo tipo di carta di pagamento. La Financial Conduct Authority (FCA), l’autorità di vigilanza finanziaria britannica ha bloccato a livello mondiale l’operatività delle carte emesse dalla filiale inglese (Wirecard Card Solutions Limited). Tra le piattaforme maggiormente colpite dal blocco c’è il sistema Payoneer-Mastercard che opera nel segmento business in oltre 200 paesi. In alcune realtà questo blocco risulta particolarmente critico. Ad esempio in Pakistan Wirecard è l’unico soggetto operativo nei pagamenti online utilizzati dalle piccole imprese e dai professionisti.“Pakistan Today” titola il 27 giugno “Millions of dollars belonging to Pakistani freelancers stuck indefinitely amid Wirecard fraud”. In Italia questo blocco ha riguardato le carte emesse con il brand Sisalpay.
Questa vicenda pone inoltre, dico per fortuna a mio parere, un punto di riflessione sullo sviluppo ancora molto caotico sulle criptovalute e sulle carte di debito in monete virtuali. Wirecard opera in questo segmento con le carte emesse da Crypto.com e TenX. Queste carte sono state anch’esse bloccate dalla FCA e dall’authority europea.
Da questa vicenda escono malissimo diversi attori importanti, in primo luogo l’autorità di vigilanza BAFIN, la Consob tedesca. L’Authority ha sicuramente una sua responsabilità della gestione di questa crisi. L’Autorità di Borsa aveva infatti sempre minimizzato le accuse riportate dal Financial Times che andavano via via arricchendosi di nuove prove. Fino all’emersione della truffa i vertici della Bafin avevano difeso la società quotata e i suoi vertici. Addirittura sembra che la Bafin abbia chiesto l’apertura di un’indagine contro i due giornalisti del Financial Times che avevano scoperchiato il caso. Altre fonti affermano che l’authority avrebbe ricevuto documenti anonimi che segnalavano la truffa. E’ sicuro invece che nel febbraio 2019 la Bafin aveva vietato le vendite allo scoperto sul titoli Wirecard.
Il presidente dell’Authority Felix Hufeld, ha dovuto ammettere che la vicenda “rappresenta una vergogna per la Germania” e costituisce un “completo disastro”. La Commissione Europea ha deciso pertanto (26 giugno) di richiedere formalmente all’ESMA di aprire un’indagine sul comportamento dell’autorità di vigilanza tedesca da concludere entro luglio.
Un’altra possibile perdente è anche E&Y: la società di revisione potrebbe essere oggetto di class action da parte dei risparmiatori per non aver individuato la frode in tutti questi anni.
Lo studio berlinese Schirp & Partners ha annunciato di aver già citato in giudizio E&Y, come si può leggere sul sito dello studio legale (https://schirp.com/en/wirecard/). La stessa SoftBank ha annunciato di voler citare in giudizio la società di revisione. Il Financial Times da parte sua ha accusato E&Y di non aver “domandato informazioni bancarie cruciali per lo svolgimento dell’audit
Come spesso avviene in questi casi, dopo la loro scoperta questi casi evidenziano che al di là della sofisticazione della strumentazione utilizzata, tecnica e finanziaria, essi si fondano su fattori grossolani che mettono ancor più in evidenza la debolezza dei sistemi di controllo. In primo luogo quelli interni, ma come abbiamo visto anche quelli dei soggetti pubblici preposti alla vigilanza di stabilità del sistema.
E’ chiaro, almeno ai miei occhi, come l’intero comparto dei controlli debba essere ripensato, in quanto si è dimostrato che la strada dell’aumento della regolazione può solo in parte ostacolare l’azione di chi sistematicamente lavora per una sua elusione.