Il fattore tempo nella corsa al nucleare
(Post #146) Di fronte all’evoluzione del conflitto Iran Israele è necessario raccogliere tutti gli elementi di conoscenza per comprendere quanto sta accadendo
(Avevo iniziato a scrivere questo articolo ieri sera e l’ho completato velocemente nella notte, mi scuso quindi se questa volta l’articolo è schematico e non è completato dei dovuti riferimenti bibliografici)
La drammatica evoluzione delle ultime ore in Iran segue un aumento delle tensioni nell’ultimo periodo sul mancato avanzamento delle trattative sul nucleare. Avremo tempo per esprimere i vari punti di vista oltre che per approfondire quali saranno le conseguenze di medio e lungo periodo. In questo momento mi interessa mettere a fuoco una questione che probabilmente troverà poco spazio nella valanga di commenti che leggeremo in questi giorni. In tutta questa vicenda il tema della tempistica ha giocato un ruolo essenziale. Per comprendere i fondamentali che hanno portato a questa situazione è necessario conoscere il legame esistente tra lo stato di avanzamento di un programma nucleare e la crescita esponenziale della minaccia.
Uranio 235 e il processo di arricchimento: cosa significa davvero e perché è così importante
Per avere gli elementi per comprendere quanto sta averendo è necessario aprire una parentesi “tecnica” sul processo di arricchimento dell’uranio. Attraverso questo processo l’uranio naturale, cioè quello presente nei minerali estratti dalla terra, viene trasformato in uno stato che può essere usato per produrre energia in una centrale, ma anche, ed è questo il caso al centro della complessa vicenda iraniana, per costruire un ordigno nucleare. Detto questo si comprende perché, ogni volta che si discute di arricchimento, il tema assume una rilevanza politica: non si tratta solo di un’operazione tecnica, ma del progressivo avvicinamento a una soglia critica oltre la quale si aprono scenari militari.
Il punto chiave è che l’uranio in natura non è tutto uguale: è una miscela di isotopi, cioè atomi dello stesso elemento che hanno lo stesso numero di protoni (92 nel caso dell’uranio), ma un diverso numero di neutroni. L’isotopo più abbondante è U-238 (circa il 99,27%), mentre quello davvero utile per le reazioni nucleari è U-235, che rappresenta appena lo 0,72% del totale. C’è anche una piccolissima quantità di U-234. Quindi, per ottenere una quantità significativa di U-235 bisogna separarlo fisicamente dagli altri isotopi, operazione viene tecnicamente appunto chiamata di arricchimento.
L’U-235 è determinante a fini militari perché può sostenere una reazione a catena: quando un suo nucleo viene colpito da un neutrone, si spezza in due nuclei più piccoli, rilasciando energia e altri neutroni, che a loro volta colpiscono altri nuclei, e così via. Questo processo costituisce il cuore sia della produzione di energia nelle centrali, sia dell’esplosione in una bomba atomica. Tuttavia, affinché la reazione sia stabile e intensa, serve una concentrazione molto più alta di U-235 rispetto a quella presente in natura.
Il processo di arricchimento
Qui entra in gioco il processo di arricchimento, che consiste nell’aumentare la percentuale di U-235 rispetto agli altri isotopi. Il metodo più comune oggi è quello a centrifuga: si trasforma l’uranio naturale in un gas, l’esafluoruro di uranio (UF₆), che viene poi fatto ruotare a velocità altissime dentro una macchina chiamata centrifuga. A causa della leggera differenza di massa tra U-235 e U-238, il gas tende a stratificarsi: l’U-238, più pesante, si concentra verso l’esterno, mentre l’U-235 si concentra al centro e può essere separato.
Il gas di UF₆ viene immesso sottovuoto per ridurre l’attrito e impedire contaminazioni all’interno di un cilindro rotante verticale di fibra di carbonio, che gira ad altissima velocità, fino a 70.000 giri al minuto.
Quando il cilindro ruota:
gli atomi più pesanti (U-238) tendono a muoversi verso l’esterno del cilindro
gli atomi più leggeri (U-235) rimangono più vicini al centro
La quantità di questa separazione è minima per ogni singola centrifuga ma ripetuta in migliaia di centrifughe collegate in cascata può portare a una separazione significativa. Ogni stadio migliora leggermente la concentrazione del materiale arricchito.
Le soglie critiche
Le prime fasi dell’arricchimento servono per scopi civili, come l’alimentazione delle centrali nucleari. In questi casi, la concentrazione di U-235 si aggira intorno al 3-5%, un livello sufficiente per produrre calore e generare elettricità in sicurezza. Ma quando si supera la soglia del 20%, l’uranio viene classificato come HEU (High Enriched Uranium), cioè uranio ad alto arricchimento, e può essere usato per costruire armi nucleari. Per una bomba atomica, la concentrazione di U-235 deve arrivare almeno al 90%. A quel punto, bastano pochi chilogrammi di materiale per costruire un ordigno devastante.
Un aspetto spesso poco noto ma cruciale è che più si arricchisce l’uranio, più diventa facile continuare ad arricchirlo. Nei primi stadi, bisogna separare centinaia di migliaia di atomi inutili per ottenere pochi atomi utili; ma man mano che la percentuale di U-235 cresce, il lavoro diventa sempre più efficiente.
Immaginiamo di partire da 1.000.000 di atomi di uranio naturale.
1. Uranio naturale: 0,72% di U-235
• U-235: 7.200 atomi
• U-238: 992.800 atomi
2. Primo arricchimento: al 3,5%
Per arrivare a una miscela col 3,5% di U-235, si deve:
• aumentare la quantità relativa di U-235
• eliminare una parte significativa degli atomi di U-238
3. Secondo arricchimento: al 20%
Il passaggio successivo è quello di arrivare a una miscela in cui 7.200 atomi di U-235 rappresentino il 20% del totale:
• T = 36.000 ⇒ U-238 = 28.800
• si devono per questi eliminare altri 169.700 atomi di U-238
4. Altissimo arricchimento: al 90%
Per arrivare a una miscela dove i 7.200 atomi siano il 90%:
• Nell’ultima fase si devono eliminare solo altri 28.000 atomi
Questo esempio mostra il motivo per cui il passaggio da 0.72% a 3.5% è il più complesso. Superato quel livello, ogni nuovo stadio richiede sempre meno intervento, e quindi meno tempo. È per questo che, se un paese dispone già un’infrastruttura per arricchire l’uranio fino alla soglia del 3.5%, può molto più rapidamente(in termini di tempo e di sforzo tecnico) raggiungere i livelli “militari” del 90%. È esattamente questo il motivo per cui molti esperti considerano il 3.5% una soglia critica: chi la raggiunge ha in mano la parte più dura del processo, e ha già costruito un’infrastruttura tecnica per il resto. La denuncia dell’Agenzia Atomica Internazionale suffragata dalle stesse dichiarazioni della ledearship iraniana attestano che l’Iran ha raggiunto il livello del 60% di arricchimento per una quantità di materiale sufficiente per arrivare in tempi rapidi alla produzione di diversi ordigni nucleari.
Una breve cronistoria della vicenda del nucleare iraniano
Il regime degli ayatollah ha avviato il programma nucleare negli anni novanta del secolo scorso quando inizia la costruzione del sito di Natanz, oggetto dell’attacco di questa notte.
Nel 2002 il gruppo iraniano dissidente NCRI (National Council of Resistance of Iran) rivela al mondo l’esistenza di due impianti segreti: Natanz e Arak.
Tra il 2003–2006 si svolgono i primi negoziati, al termine dei quali l’Iran accetta volontariamente di sospendere l’arricchimento e di firmare il Protocollo Aggiuntivo IAEA.
Nel 2005, il nuovo presidente iraniamo Ahmadinejad, decide di riprendere l’arricchimento portando l’Onu l’anno successivo ad approvare pesanti sanzioni internazionali.
Nella 2010 si verifica un evento che è entrato a far parte della storia della cyberwar:il virus informatico Stuxnet (presumibilmente USA-Israele) sabota centrifughe a Natanz.
Gli anni seguenti che vanno fino al 2013 l’Iran malgrado un confronto internazionale serrato l’Iran espande il numero di centrifughe a Natanz e costruisce a Fordow, un impianto sotterraneo e protetto. Il livello di arricchimento raggiunge il 20%.
NEL 2013 con l’elezione del presidente Rouhani, l’Iran riprende i negoziati e il 14 luglio 2015 si arriva alla firma del JCPOA (Joint Comprehensive Plan of Action) con il patrocinio dei paesi del cosiddetto gruppo P5+1 (USA, Francia, Regno Unito, Cina, Russia, Germania). In base all’accordo l’Iran accetta di (i) limitare l’arricchimento al 3.67%; (ii) ridurre il numero delle centrifughe a 5.060; (iii); convertire Fordow in centro di ricerca e (iv) bloccare il reattore ad acqua pesante di Arak. In cambio l’Iran ottiene la rimozione graduale delle sanzioni.
L’8 maggio 2018: Il presidente Donald Trump si ritira unilateralmente dal JCPOA, definendolo “un disastro”, denunciando che l’Iran viola gli impegnidell’accordo. Gli USA reintroducono sanzioni economiche pesantissime.
A partire da quel momento l’Iran riprende l’arricchimento e crisiraggiungendo nel 2021 il livello del 60%, dichiarando che è solo per “scopi pacifici”, aumentando peraltro la messa in opera di centrifughe di nuova generazione.
Con l’elezione di Biden, riprendono i colloqui a Vienna ma i negoziati falliscono nel 2022.
Il nuovo governo iraniano, più conservatore, ha chiuso a negoziati a breve termine, puntando a “garanzie reali”, mentre IAEA - l’organismo delle Nazioni Unite incaricato di promuovere l’uso pacifico dell’energia nucleare e di impedire il suo uso a fini militari - conferma che l’Iran è arrivato a una produzione stabile di uranio al 60%, quantità tecnicamente convertibile al 90% in poche settimane.
Nella notte tra il 12 e il 13 giugno 2025 attacco israeliano alle istallazioni nucleari iraniane.