I rischi ESG e i rischi della normativa ESG
(ESG) - Il 2021 è l’anno delle tematiche ESG. La contestuale entrata in vigore di differenti disposizioni comunitarie in materia rischia, però, di focalizzare l’attenzione sugli adempimenti formali
Il 2021 l’anno in cui i mercati finanziari si devono confrontare con le tematiche ambientali, sociali e di governo societario
Per i mercati finanziari il 2021 è l’anno nel quale le tematiche ambientali, sociali e di governo societario hanno occupato il centro della scena.
L’industria finanziaria è, infatti, interessata da rilevanti cambiamenti che derivano da una vasta produzione normativa comunitaria che impone ai soggetti che operano a vario titolo nel settore, sia in via diretta che indiretta, adeguamenti importanti che riguardano la presa in carico delle tematiche ESG.
Il cambiamento di scenario è stato determinato dalla quasi contestuale entrata in vigore di differenti disposizioni che intervengono in modo significativo nella definizione dei processi e delle prassi sia dell’industria delle gestione che di alcuni investitori istituzionali. La complessità associata agli adeguamenti a cui questi operatori devono adempiere deriva in primo luogo dalla concorrenza di diverse discipline che incidono sullo stesso perimetro di tematiche e di destinatari. In aggiunta, per quanto riguarda il mondo dei fondi pensione, la materia ESG trova una sua regolazione anche all’interno delle previsioni previste dalla cosiddetta IORP II.
Le disposizioni eterogenee ai applicano pertanto ai partecipanti ai mercati finanziari, e come vedremo, questo implica il coinvolgimento non solo degli attori dell’industria finanziaria ma anche di altri soggetti, ad esempio, come ricordato, dei fondi pensione che offrono ai loro aderenti soluzioni di risparmio previdenziale.
Fonti normative eterogenee: maggiore complessità e rischio di compliance
In termini generali, il quadro di riferimento per i fondi pensione relativo all’applicazione delle regole in tema di ESG è molto articolato e al contempo relativamente recente.
In termini sintetici quindi:
la Direttiva (UE) 2016/2341, cosiddetta IORP II, così come è stata recepita nel nostro ordinamento dal Dlgs n. 147/2018 e integrata all’interno del Dlgs n. 252/2005 (normativa sulla previdenza complementare) impone ai fondi pensione di prendere in considerazione le tematiche ESG declinandole soprattutto dal punto di vista della gestione dei rischi che possono derivare dalla esposizione e dalla eventuale vulnerabilità del patrimonio rispetto a queste categorie di fattori. La disciplina prevede anche di considerare l’esposizione al rischio dell’investitore in quanto organizzazione, comprendendo anche l’ambito della esternalizzazione di alcune sue attività;
il Regolamento (UE) 2019/2088 “Sustainability-Related Disclosure in the Financial Services” (SFDR), rendicontazione della sostenibilità dei servizi finanziari, impone regole e obblighi di informativa circa la modalità di gestione dei rischi ESG e il modo in cui vengono presi in considerazione gli impatti negativi delle politiche di investimento su ambiente e temi sociali. Tale informazione dovrà essere contenuta nella documentazione contrattuale, sul sito internet, oltre che nei documenti di rendicontazione. Ai sensi dell’articolo 20, comma dello stesso il Regolamento “si applica a decorrere dal 10 marzo 2021”, salvo alcune deroghe circoscritte. Inoltre si ricorda che come tutti i regolamenti comunitari, e come indicato anche in calce al testo, esso “è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri”, senza che sia necessaria una norma nazionale di recepimento.;
il Regolamento (UE) 2020/852 del 18 giugno 2020 “relativo all’istituzione di un quadro che favorisce gli investimenti sostenibili e recante modifica del Regolamento (UE) 2019/2088” stabilisce una tassonomia di ciò che può considerarsi ESG e, cosa più importante, un obbligo di rendicontazione della quota di portafoglio composta da strumenti di imprese o emittenti che rispettano i criteri ESG;
la Direttiva (UE) 2017/828, la cosiddetta Shareholder Rights Directive (SRD II) del 17 maggio 2017 che emenda la precedente Direttiva 2007/36/EC relativa all’incoraggiamento dell’impegno a lungo termine degli azionisti, rivede la precedente regolazione della materia che riguarda gli investimenti in azioni europee e impatta indirettamente sugli adempimenti riferiti alle tematiche ESG. Infatti la stessa promuovere le prassi di engagement e pertanto rientra pienamente nelle tematiche che stiamo qui considerando. Tale disciplina prevede tra l’altro obblighi di comunicazione pubblica rispetto alle scelte di “impegno” degli investitori istituzionali. I suoi effetti decorrono dal 3 settembre 2020 con una decorrenza al 28 febbraio del 2021 per quanto riguarda la dichiarazione pubblica circa le scelte assunte da ogni partecipante ai mercati finanziari in tema di engagement.
E’ evidente come questo complesso di norme, per loro natura eterogenea è fonte di complessità e espone gli attori chiamati a dar corso alle previsioni, fondi pensione in primis, a una serie di rischi di portata rilevante. In primo luogo risulta evidente come la contestualità e contemporaneità dell’entrata in vigore delle norme, che incide peraltro in un momento straordinario legato al COVID-19 e al permanere di forme di lavoro a distanza, determinino un rilevante rischio di compliance.
Poco spazio per la discussione
Al di là degli aspetti formali, che peraltro rilevano sia in termini sanzionatori che reputazionali, a mio avviso è prevalente un rischio di carattere sostanziale. La mole di adempimenti che coinvolgono i fondi pensione impongono un’agenda di lavoro molto fitta agli enti previdenziali per il cui assolvimento vengono sacrificati gli aspetti di contenuto. Detto in altri termini rimane poco tempo per i fondi pensione per affrontare una discussione nel merito delle misure da assumere e in questo contesto il processo di adempimento rischia di trasformarsi in una somma di deliberazioni e atti meramente formali. Paradossalmente è la normativa stessa che rischia di vanificare l’obiettivo dichiarato di questo complesso normativo: la promozione di una cultura finanziaria orientata alla sostenibilità sociale.
Le normative in questione, ad esclusione della IORP II, hanno, come detto, una portata generale e investono l’intero comparto dell’industria finanziaria. Al fine dell’allineamento degli interessi dei diversi attori diventa quindi essenziale che l’applicazione delle disposizioni di “incoraggiamento” non si traduca in un mero vestito commerciale che riguardi esclusivamente, o perlomeno prevalentemente, il confezionamento dei prodotti e delle gestioni.
L’esistenza del rischio di ridurre la portata degli obiettivi di responsabilità sociale ad un ambito prettamente formale sembra essere ben presente anche a livello comunitario. A differenza di quanto avvenuto in passato le tematiche ESG non dovrebbero limitarsi ad etichettare un prodotto specifico o un processo a sé stante, all’interno dell’organizzazione aziendale. Al contrario, i fattori ESG dovrebbero diventare criteri discriminanti, fissi e pervasivi, dei processi operativi e comportamentali delle società, degli enti e delle istituzioni diventando parte integrante della valutazione dei rischi assunti nel sistema dei controlli interni.
In questo senso la Commissione Europea ha inteso chiarire che i provvedimenti intendono dissipare “le preoccupazioni legate alla pratica della «verniciatura verde» (greenwashing)”, cioè la pratica di “commercializzare un prodotto finanziario come ecocompatibile quando in realtà gli standard ambientali di base non sono soddisfatti.”
Il rischio di escludere i protagonisti dai processi decisionali
Senza però una presa in carico da parte degli investitori delle problematiche ESG si rischia addirittura, a mio avviso, che le stesse diventino paradossalmente lo strumento di una azione distorsiva che premia esclusivamente le imprese di maggiori dimensioni verso le quali si indirizzano i database che raccolgono questo tipo di informazioni. Inoltre su un tema così delicato e critico anche dal punto di vista valoriale la mancanza di un’impostazione consapevole da parte degli investitori istituzionali lascerebbe inevitabilmente spazio all’applicazione di chiavi di lettura non verificate o potenzialmente discriminatorie.
In questo ambito quindi il coinvolgimento dei fondi pensione diventa essenziale. In quanto portatori di interessi collettivi e “luogo” di mediazione delle istanze datoriali e dei lavoratori essi rappresentano lo strumento per eccellenza per indirizzare in senso innovativo l’intera materia. Purtroppo come spesso avviene l’azione del legislatore non è lungimirante nei confronti degli attori intermedi e si rifugia in un’azione iper-regolatrice che finisce per ostacolare il raggiungimento degli obiettivi dichiarati.