Attivismo degli azionisti: una storia che viene da lontano
(Attivismo azionisti) 1609 Isaac La Maire contesta la governance della Compagnia Olandese delle Indie Orientali
Il viaggio che sto compiendo assieme a voi nel territorio delle tematiche ESG e di quelle riferite all’impegno e all’attivismo degli azionisti mi sta riservando incontri sempre più interessanti. Il più inaspettato riguarda una vicenda che si è dipanata nei primi anni del XVII secolo in Olanda
La vicenda che vede protagonisti Isaac La Maire, ricco mercante di Amsterdam, da una parte e, dall’altra la Compagnia Olandese delle Indie Orientali (Vereeningde Nederlandsch Geoctroyeerde Oostindische Compagnie - VOC), viene spesso richiamata come il primo esempio storico del comportamento attivo degli azionisti nei confronti del management.
Nasce la prima società di capitali in senso moderno
Le origini della Compagnia risalgono alle associazioni temporanea di mercanti e uomini di affari che si uniscono per finanziare le spedizioni lungo le rotte e gli scali che i Paesi Bassi andavano acquisendo nei mercati orientali. L’apporto di capitale dei ricchi uomini di affari olandesi era assicurato in quanto i ritorni di questi investimenti, erano elevati e assicuravano un profitto superiore in media al 25% del capitale impegnato. Già in queste prime iniziative emerge però un ruolo distinto di un gruppo di azionisti, i direttori che si occupavano di armare le imbarcazioni, reclutare il personale, assicurare la logistica, ecc.
Con il crescere del giro d’affari la semplice partnership tra uomini di affari si trasforma nel 1602 in quella che probabilmente è la prima vera società di capitali moderna, dotata di una partecipazione stabile del proprio azionariato. Grazie alla stabilità del suo capitale VOC a lungo ha dominato il nascente mercato globale del commercio: a metà del XVII secolo poteva disporre di 150 navi e occupava circa 50.000 persone oltre ad armare un esercito privato di 10.000 uomini.
Il peso degli “Heeren Seventien”
Se i ricchi mercanti fornivano il denaro necessario per finanziare le spedizioni, erano però ormai i settanta direttori (Heeren Seventien) i soggetti che, dalla sede centrale di Amsterdam, accentravano nelle proprie mani tutta la gestione degli affari e dei processi operativi. Questa posizione privilegiata si è andata consolidando nel tempo soprattutto con la trasformazione dell’esperienza della pre-compagnia in una società dotata di capitale permanente. Nella prima fase infatti la preminenza dei direttori era controbilanciata dal fatto che le partecipazioni dei partner erano liquidate al termine di ogni viaggio, e quindi era fondamentale per questi ultimi garantire un allineamento degli interessi tale da assicurare il continuo apporto di capitale da parte degli investitori al fine di finanziarie le spedizioni successive.
Grazie alla posizione ricoperta, con il tempo non solo i direttori si sono affermati come gli unici decisori ma si sono anche ritagliati un peso crescente nella distribuzione degli utili derivanti dalla ripartizione dei proventi.
L’esclusione degli azionisti dall’effettivo controllo della società risultava accentuata da una ulteriore caratteristica particolare della Compagnia che assolveva una funzione di strumento geopolitico in mano alle nuove province olandesi nella competizione globale dei commerci con Spagna e Portogallo. Era inevitabile che questo impegno parallelo, pur assicurando alla VOC il vantaggio del monopolio delle rotte, sottraesse risorse agli impegni del business oltre a comportare una riduzione degli profitti che potevano essere distribuiti ai portatori di capitale.
Isaac Le Maire
In questo contesto si inserisce la vicenda che inizio a raccontare. La data fatidica che trasformerà questo episodio ci per sé circoscritto in un evento storico è il 24 gennaio 1609; in quella data Isaac La Maire invia una lettera a Johan van Oldenbarnevelt, principale figura politica dell’epoca, per rivendicare i propri interessi di investitore. La Maire era un ricco mercante arrivato ad Amsterdam da Anversa, fondatore di alcune compagnie marittime commerciali e azionista di rilievo di VOC.
Nella sua missiva, che è al contempo una lettera di reclami e una perorazione al politico, La Maire evidenziava come la scarsa capacità di produrre utili finisse per ostacolare la generazione del capitale necessario per alimentare nuovi commerci e nuovi mercati e ciò determinava una riduzione del valore della società e quindi di quello dell’investimento degli azionisti.
Concretamente le accuse riguardavano:
il debito crescente che con il suo servizio riduceva gli utili
il rifiuto dei direttori di ascoltare le istanze degli azionisti
un eccessivo arricchimento dei direttori.
In termini generali La Maire considerava anche negativo il monopolio della Compagnia che ostacolava il nascere di nuove iniziative.
La lettura di questi punti è quanto mai istruttiva in quanto propone sul piano pratico e allo stesso tempo su quello teorico questioni che attraverseranno fino ad oggi tutta la storia delle public company, questioni che nascono proprio dalla caratteristica genetica di una società a capitale diffuso: la separazione tra la sfera della gestione della società e l’effettivo controllo esercitato dagli azionisti sulla vita societaria.
Apro una parentesi per rinviare alla bibliografia che esiste su questa vicenda citando tra gli altri il contributo di Oscar Gelderblom, Abe de Jong e Joost Jonker, An Admiralty for Asia: Business Organization and the Evolution of Corporate Governance, 1590-1640 presentato alla conferenza organizzata da Yale School of Management, nel novembre 2009, in occasione dell’anniversario dei 400 anni dalla iniziativa di La Maire.
Un esempio di short selling
Peraltro è interessante osservare come lo stesso La Maire avesse avviato in segreto, sempre nel 1609, una vera e propria strategia di “vendita allo scoperto” delle azioni della Compagnia la cui conferma è emersa da diversi studi (ad esempio una completa ricostruzione della vicenda si può trovare in Van Dillen J. G., Isaac Le Maire et le commerce des actions de la compagnie des indes orientales. Parte II - Revue d’histoire moderne 1935)
Obiettivo di questa strategia era quella di creare le condizioni per sostenere la tesi, funzionale alla sua iniziativa, di una cattiva gestione della compagnia. La debolezza della governance avrebbe dovuto, secondo il disegno di La Maire, essere attestata dalla discesa del prezzo dei titoli. La strategia non funzionò e addirittura alcuni dei mercanti che sostennero l’iniziativa arrivarono al fallimento quando nel 2010 il corso delle azioni ripresero a salire. In ogni caso questo episodio dimostra come fin dal loro nascere le iniziative di attivismo degli azionisti si siano caratterizzate in realtà come uno degli strumenti possibili da mettere in campo in vista del raggiungimento di obiettivi più ampi. In altre parole ho trovato una conferma di una verità di cui sono profondamente convinto e che riguarda la insussistenza della pretesa di attribuire all’attivismo degli azionisti un valore in sé che sia indipendente dal perseguimento di determinati obiettivi.
La conclusione dell’iniziativa di La Maire
Considerando il ruolo strategico svolto della compagnia per gli interesse generale delle province del nuovo Stato era in qualche modo inevitabile che le istanze di La Maire non potessero essere accolte dalle autorità pubbliche. Come abbiamo visto una delle ragioni della insufficiente performance dei primi anni di attività derivava propio dalla natura semi-pubblica della Compagnia e dalla eterogeneità della sua missione. I problemi posti da La Maire rimangono quindi irrisolti, ma allo stesso tempo però il malessere degli azionisti viene messo a tacere a seguito della decisione di una maggiore distribuzione di utili.
Nuove contestazioni: 1622-1625
In ogni caso l’accentuarsi delle diseguaglianze tra i vari stakeholder fece riemergere a distanza di poco più di dieci anni il conflitto di interesse in cui erano coinvolti i direttori. Uno dei temi caldi che agitava il corpo sociale dei mercanti olandesi continuava a essere il controllo sull’operato dei direttori e il loro sistematico rifiuto nel sottoporsi a un sistema di controlli. Lo statuto della società prevedeva infatti che fossero condotti degli audit dopo 10 anni dalla fondazione e successivamente dopo 21 anni. Nessun audit era stato però condotto nel 1612 e lo stesso inadempimento si era ripetuto dieci anni dopo. Dal 1622 al 1625 diversi azionisti, che si stima fossero complessivamente espressione del 40% del capitale, hanno perciò presentato dei reclami sottolineando proprio i conflitti di interesse e la supposta mala condotta dei direttori. Una delle accuse più ricorrenti era quella che i direttori erano soliti acquistare le merci trasportate a prezzi spropositatamente bassi per ottenere per sé maggiori profitti. Le informazioni in loro possesso esclusivo consentivano anche speculazioni sui titoli. In modo molto moderno però i reclamanti non si limitavano a una protesta ma richiedevano anche un cambiamento delle regole di governance. Uno dei temi ad esempio era quello di introdurre un obbligo di approvazione ad assumere nuovi prestiti.
La risposta dei chiamati in causa fu un rifiuto totale di tutte le accuse e un richiamo al fatto che la Compagnia assolveva contestualmente un’attività di pubblico interesse a a favore del paese. Proprio grazie a questa condizione il gruppo dirigente continuava a mantenere anche in questa circostanza e di fronte alla critica di uomini che sicuramente erano influenti nella loro epoca, l’appoggio del potere politico che arrivò a stabilire il divieto di chiamare in giudizio i direttori e al tempo stesso a porre una ricompensa che sarebbe stata pagata a chi contribuisse a identificare gli autori dei pamphlet di protesta. Anche qui un dato molto moderno da rilevare: il tentativo di condizionare favorevolmente alla propria causa l’opinione pubblica grazie alla diffusione di notizie attraverso i pamphlet. In ogni caso grazie a questa azione si arrivò nel 1623 a una riforma dello statuto che interveniva su alcuni dei punti dei ricorrenti. In ogni caso però la richiesta di una riforma più radicale fu totalmente respinta, fino a quando, nel 1625, la protesta si esaurì.
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